L’Ordine dei medici di Milano ha fatto ricorso al Tar del Lazio contro il decreto per l’appropriatezza delle prescrizioni mediche. Il provvedimento firmato dal ministro Beatrice Lorenzin, che sulla carta puntava a ottenere risparmi per 106 milioni l’anno stringendo le maglie su visite ed esami erogabili a carico del Servizio sanitario nazionale, sta causando il caos in ambulatori e ospedali, tanto che anche il Tribunale per i diritti del malato ha già chiesto di sospenderne l’efficacia. L’atto presentato dai medici milanesi contesta “violazione e falsa applicazione della Costituzione, del codice deontologico medico, della legge di istituzione del Servizio sanitario nazionale, della legge 7 agosto 1990. A questi si aggiungono il difetto d’istruttoria e l’eccesso di potere, l’ingiustizia manifesta, l’irragionevolezza e l’illogicità manifeste, il perseguimento di fini diversi da quelli previsti dalla legge”. Cioè la “tutela delle casse della sanità”.

“Il ministero, a nostro convinto parere – spiega Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine milanese – ha esercitato il potere per finalità differenti dall’appropriatezza intesa quale appendice del diritto alla salute, confondendo il concetto di appropriatezza dell’attività prescrittiva con quello dell’economicità delle prescrizioni nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. Io, come presidente di Ordine, non posso che essere fortemente favorevole all’appropriatezza prescrittiva e al buon uso delle risorse disponibili. Ma quelli del Decreto sembrano solo tagli indiscriminati”.

“L’aspetto negativo più evidente – scrive l’avvocato Gennaro Messuti nel ricorso – consiste nella estrema genericità del decreto, che non consente una valutazione a priori certa e precisa di quelle che sono le ‘condizioni di erogabilità’, ovvero le ‘indicazioni di appropriatezza prescrittiva’, definite con valutazioni non professionali e che espongono il medico, qualora a posteriori venga ritenuto un ‘comportamento prescrittivo non conforme alle condizioni e alle indicazioni di cui al decreto ministeriale’, a subire provvedimenti sanzionatori quali la riduzione del trattamento economico accessorio ovvero delle quote variabili”.

Nel ricorso infine si ricorda che “secondo la Corte dei Conti, per ‘appropriatezza’ si deve intendere che ‘a ogni patologia deve corrispondere esclusivamente una prescrizione, che risulti tale da indurre un miglioramento nelle condizioni di salute del paziente. Tale indicazione contraddice il decreto ministeriale, in quanto l’esclusione degli esami è stata fatta non in relazione alla salute del paziente, ma alla tutela delle casse della sanità”.

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