“È un giorno nero per il Belgio”, ha dichiarato in conferenza stampa il primo ministro belga Charles Michel, riferendo l’ultimo bilancio aggiornato di morti e feriti negli attentati di questa mattina all’aeroporto Zaventem di Bruxelles e alle stazioni metro Maelbeek e Schuman, nei pressi degli edifici delle istituzioni europee. Almeno 34 morti e oltre 130 feriti, questi sono i numeri del ministro della Sanità belga intorno alle 12.30, in continuo aggiornamento. Ma le notizie, verificate o meno, corrono veloci sui media di tutta Europa, e non è semplice riuscire a destreggiarsi nel flusso di tweet e di news che vengono messe in circolo sui social e sul web in generale. Una piccola riflessione, però, potremmo sbilanciarci a farla.

Attentato a Bruxelles: esplosioni nella metro di Maalbeek

Sono quasi le 13 e arriva la prima rivendicazione da parte dello Stato Islamico con un comunicato via Telegram diramato dall’agenzia di stampa Amaq, vicina al Califfato. C’era da aspettarselo per vari motivi: le modalità d’azione, le primissime testimonianze, il Jihadist Media Team di Bbc Monitoring che, seguendo le reazioni sui social media agli attentati di Bruxelles, rilevava un immediato supporto agli attentatori da parte dei sostenitori dello Stato Islamico, che usano l’hashtag#Brusselsonfire” per celebrare gli attacchi nella capitale belga. Si ripete quindi quel che era successo già nel novembre scorso con i fatti di Parigi, a seguito dei quali si poteva assistere ad un orrido susseguirsi di tweet di ammirazione nei confronti degli assalitori al grido di “#Parisonfire”.

Ma l’apertura di questo fronte interno, di cui già si è avuto più che un assaggio il 13 novembre scorso nella capitale francese, stupisce ancora qualcuno? Il premier francese Valls ha dichiarato che “siamo in guerra”, vuol dire che probabilmente ci siamo persi qualcosa nel frattempo. Siamo in guerra, sì, ma di certo non da adesso.

Abbiamo prestato molta attenzione al fronte esterno, non preoccupandoci adeguatamente (e parlano i fatti) di quello interno: cosa succede in Europa, quanto sono sicure le nostre capitali, quali cellule terroristiche continuano ad essere attive e pronte a colpire sul territorio del vecchio continente. È stato preso Salah Abdeslam, ma non è abbastanza: la struttura interna dei gruppi terroristici e il modo in cui colpiscono sembrano confermare che non si tratti di organizzazioni con una gerarchia, ma frammentate, orizzontali e relativamente indipendenti. Prenderne uno non serve a fermare gli attacchi.

Il conflitto in Medio Oriente sta mettendo alla prova la resistenza dello Stato Islamico, anche solo per la sua durata: ci si logora, ad ogni scontro si perdono uomini e ad ogni arretramento di linea si perde consenso. Allora l’obiettivo diventa, prima di tutto, recuperare e rinforzare il supporto del mondo islamico estremista al Califfato. E cosa può servire meglio allo scopo di un attentato nel centro dell’Europa, al cuore delle nostre istituzioni comunitarie e in un Paese in cui solo qualche giorno fa è stato arrestato un jihadista di rilievo, parte del commando che ha attaccato Parigi? Si potrebbe considerare non casuale anche l’estrema vicinanza delle stazioni della metro colpite alla sede di Bruxelles del Parlamento europeo. Un simbolo, un segnale anche questo.

Il dato di fatto, avvilente e frustrante, è che non ci si può sentire sicuri nemmeno al centro dell’Europa. Nel caso in cui non l’avessimo già compreso lo scorso novembre dopo i fatti di Parigi, adesso ne abbiamo la conferma. È ormai quasi inutile ripeterlo, è anche questo il segnale che i jihadisti vogliono mandarci: la libertà di movimento e in sicurezza, pilastro del processo di integrazione europea, non esiste più (ma non esiste più da tempo). E se da un lato questa viene messa in pericolo dagli attacchi del terrorismo islamico, dall’altro vi vengono apportate forti restrizioni da parte dei governi in nome della sicurezza nazionale. In un contesto di tale incertezza, il punto fermo resta solo uno: non saremo veramente liberi, anche in Europa, fino a quando non si troverà una soluzione pacifica vera e duratura alla situazione in Medio Oriente. Nel frattempo, senza allarmismi ma con consapevolezza, aspettiamoci di tutto.

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