Sono le 13.32 del 16 marzo, ora di Brasilia. I pochi secondi della telefonata tra il presidente della repubblica del Brasile Dilma Rousseff e l’ex presidente Lula rimangono nero su bianco sul brogliaccio della Polizia federale, preparando la tempesta che sta travolgendo il paese. Passano pochissime ore, meno di cinque e quell’audio, accompagnato dalla trascrizione, è già nelle mani della stampa, consegnato dal magistrato a capo del team dell’inchiesta “Lava jato”. Alle 18.46 la Folha de Sao Paulo è già in grado di pubblicare sul sito l’articolo con il testo della telefonata, lanciando la notizia che in pochi minuti fa il giro del mondo. La bomba giudiziaria e, soprattutto, mediatica è pronta ad esplodere. Ma c’è di più. Secondo la documentazione divulgata dal portale Uol, il 16 marzo alle 11.12 – ovvero due ore e mezza prima della telefonata tra Lula e Dilma – il giudice Sergio Moro aveva notificato alla Polizia federale il decreto con l’ordine di interruzione delle intercettazioni telefoniche. Dunque quella conversazione finita negli atti forniti alla stampa sarebbe stata registrata al di fuori del decreto dell’autorità giudiziaria. La replica della Polizia federale sul punto è arrivata poche ore fa. Secondo l’ufficio stampa tra la comunicazione dell’interruzione della registrazione alla compagnia telefonica – avvenuta subito dopo l’ordine del giudice Moro – e l’effettivo distacco del sistema di intercettazione sarebbe passato un tempo tecnico, dentro il quale è finita la telefonata incriminata. “Terminata l’intercettazione – spiega la PF – è stato subito preparata un’informativa, inviata al giudice competente, al quale spetta la decisione rispetto l’utilizzabilità”.

Mai come in questo caso è la tempistica a colpire. Ed è difficile trovare un caso simile, probabilmente il primo anche nella travagliata storia del continente latino-americano. Un timing che in queste ore si è aggravato con la decisione – anche questa comunicata a tempo di record – di un altro giudice, che ha sospeso la nomina a ministro della casa civil dell’ex presidente Lula.

Nelle strade, intanto, gli animi si stanno scaldando. La cronaca ora per ora sul sito del quotidiano Estado de Sao Paulo riporta un’intervista che per molti osservatori suona come un brutto segnale d’allarme: “Serve una giunta militare, per eliminare la corruzione”, spiegava un ex ufficiale in pensione che sfilava in divisa sulla avenida Paulista insieme alle migliaia di manifestanti che chiedono, da giorni, la decadenza della presidente Dilma. Non un militare qualsiasi, ma il nipote del generale Mascarenhas, a capo del contingente brasiliano che ha combattuto in Europa durante la seconda guerra mondiale. E i simboli patriottici da queste parti quasi sempre pesano. E’, probabilmente, solo l’inizio di un crescendo dove rischiano di saltare tutte le regole. “Na luta vale tudo”, nella lotta tutte le mosse sono permesse, è uno dei commenti che gira in queste ore sui social. Nelle prossime ore si dovrà insediare la commissione parlamentare che deciderà sul processo di impeachment nei confronti dell’attuale presidente della repubblica. Il conto dei voti – seguito minuto per minuto dai media brasiliani – cambia con il crescere dell’umore della piazza. Secondo Estado de Sao Paulo il governo ha perso in queste ore almeno sei voti dei parlamentari chiamati a costituire la commissione speciale. Su un totale di 65 membri sarebbero già tra 37 e 39 i favorevoli all’impeachment, secondo fonti dell’opposizione.

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