La storia del rock è piena di appuntamenti mancati. Appuntamenti cui noi abbiamo mancato, causa defezione della controparte. Viene annunciata la prossima uscita di un album, più o meno ufficialmente, girano voci, leggende, poi per un motivo che spesso coincide con la prematura morte dell’artista, l’album non arriva, e l’oggetto del nostro desiderio entra direttamente nella mitologia. Chiaro, ultimamente i discografici e i parenti degli artisti prematuramente scomparsi si sono dati parecchio da fare per devastare questa consuetudine, andando a rendere pubblico praticamente qualsiasi cosa l’artista abbia inciso più o meno professionalmente, al punto che ci sono alcuni nomi che hanno pubblicato più da morti che da vivi, tipo 2Pac o Jeff Buckley. In passato, però, tutti gli appassionati di rock si sono a lungo interrogati su cosa sarebbe potuto capitare se i Beatles non si fossero sciolti, o se Jimi non fosse morto, o se Brian Wilson e Mike Love non avessero litigato per Smile, e se Brian non fosse poi completamente rimasto incastrato dentro la sua paranoia e dentro la tossicodipendenza, finendo in un posto buio e poco arieggiato nel suo cervello, vittima del suo successo e della propria ispirazione.

In realtà, e questo lo saprete già, almeno nel caso di Brian Wilson, il destino, un po’ come in uno Sliding doors del rock, a un certo punto ha deciso che potevamo avere una seconda chance. Così, dopo che per quasi cinquant’anni chiunque abbia amato i Beach Boys e più in generale il rock tutto si è lasciato andare a fantasie più o meno sensate su come sarebbe potuto essere l’album che Brian Wilson aveva distrutto nel 1967, dopo una lite furibonda con Mike Love e coi tipi della Capitol, piuttosto freddi rispetto alle nuove idee dell’autore principale della band. In realtà i problemi legati a Smile erano parecchi, e anche piuttosto complessi. Da una parte c’era la difficoltà di registrare i brani secondo delle tecnologie ancora non abbastanza all’avanguardia. Wilson spingeva per sperimentare, come era accaduto con Pet Sounds, e in modo particolare per Good Vibrations, ma la Capitol era intenzionata a semplificare le cose, e per questo cercava di dissuadere Wilson e gli altri membri della band a complicarsi la vita. Allo stesso tempo Mike Love, che con Wilson era il cantante principale della band, e autore in precedenza di buona parte delle liriche, era poco contento di trovarsi a interpretare brani le cui parole erano state scritte interamente da altri, Van Dyke Parks, nello specifico. Su tutto c’era l’aggravarsi dello stato della salute mentale di Wilson, sempre più depresso e sulla via per diventare paranoico, anche per l’uso eccessivo di sostanze psichedeliche. L’LSD, droga sintetica prodotta proprio in California, era ancora in fase di sperimentazione, e non era ben chiaro che tipo di effetti avesse sulla psiche, effetti evidentemente non molto conciliabili con un lavoro stressante come quello di studio di registrazione.

Così Brian Wilson, deluso dall’atteggiamento dei suoi collaboratori distrusse quasi tutto il materiale registrato, facendo entrare Smile nella mitologia. In realtà non tutto venne distrutto, perché alcuni bootleg si salveranno e verranno pubblicati nel tempo, più o meno legalmente. Gli stessi Beach Boys pubblicheranno alcune tracce destinate a Smile, ma sarà poca cosa rispetto alla leggenda dell’album andato distrutto. Quando, quindi, nel 2003 inizierà a girare insistentemente la voce che Brian Winson è intenzionato a pubblicare a suo nome Smile, perché in fondo di una sua opera si trattava, in molti hanno gioito all’idea di veder, finalmente, appagata la propria curiosità. Chiaramente qualcuno ha storto il naso, perché confrontarsi con una aspettativa durata quarant’anni o poco meno è roba difficile da gestire, ma la curiosità è stata davvero tanta.

Curiosità assolutamente ben riposta, perché, nonostante Smile, uscito poi nel 2004, suoni ovviamente come l’album di un signore di oltre sessant’anni, con un passato tormentato alle spalle, quindi non esattamente la cosa più in linea coi tempi e col nuovo millennio, la potenza della sua scrittura, la genialità dei suoi arrangiamenti, la forza della sua leggenda hanno avuto ragione di una scelta sicuramente difficile. Wlison, per poter mettere insieme Smile è partito dai pochi reperti registrati sopravvissuti alla distruzione e al tempo. Su quelli è poi andato a riscrivere tutte le parti musicali mancanti, chiedendo a Van Dyke Pers di completare i testi mancanti. A suonare la band che lo accompagnava dal vivo ormai da qualche anno.

Un lavoro, quindi, di riscrittura, ma anche di vero e proprio restauro. Un perfetto lavoro pop. Un gioiello per chi ama il genere, e anche solo per chi ama la buona musica. Chiaro, non all’altezza del passato che fu, perché nel frattempo molte cose sono successe, nella musica, ma sicuramente una pagina importante nella carriera di un pezzo da novanta come Brian Wilson. Sarebbe stupido paragonare questo lavoro a Pet Sounds, perché troppi anni sono passati dalla sua genesi al suo compimento, e perché non siamo più nella California degli anni Sessanta, ma ciò nonostante Smile rimane una grande pagina di musica leggera, ben scritta e ben suonata. Da ascoltare per avere un quadro completo di un artista che ha segnato il nostro passato musicale, e lasciato pesanti segni anche sul nostro presente.

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