Sorpresa, invece di uscire dal capitale di Mps, il ministero dell’Economia si prepara ad aumentare dal 4 al 7% la propria quota nella banca toscana da tempo in attesa, senza soddisfazione, delle nozze riparatrici. L’incremento della partecipazione, secondo quanto riferisce l’agenzia Reuters, avverrà a luglio, quando la banca dovrà pagare una nuova tranche di interessi maturati sui Monti bond, i 4,1 miliardi di prestiti ricevuti dallo Stato nel 2012 e verserà il dovuto in azioni invece che in moneta sonante. Come del resto è avvenuto a luglio del 2015, quando il Tesoro era entrato nel capitale del Monte dei Paschi che non era stata in grado di versare i 243 milioni di cedola dovuta e ha saldato il conto in titoli. Con effetti decisamente spiacevoli per le finanze pubbliche, benché potenziali: in otto mesi il controvalore della partecipazione si è più che dimezzato e ora il pacchetto vale più del 70% in meno rispetto al prezzo di acquisto di 2,05 euro per azione. In altri termini se il Tesoro fosse una società per azioni quotata in Borsa, dovrebbe iscrivere a bilancio una perdita da svalutazione di oltre 170 milioni di euro.

Le prospettive per il futuro, poi, non sono certo rosee, visto che in questi mesi non è andata in porto nessuna trattativa per sistemare il Monte mandandolo a nozze con un’altra banca. Intanto il Tesoro, che avrebbe potuto dismettere la partecipazione a partire da gennaio, non l’ha potuto fare per evidenti motivi di prezzo svantaggioso. E ora rischia pure di veder crescere la quota e con lei il correlato rischio di nuove perdite. Tutto dipende da come verrà interpretato il risultato di bilancio messo a segno dall’istituto nel 2015. Il contratto firmato nel 2013 dalla banca col ministero dell’Economia prevede che in caso di conti in rosso, Mps paghi gli interessi sui Monti-bond in azioni. Il punto è che l’istituto, che a luglio dovrà versare la rata relativa al primo semestre del 2015, ha chiuso lo scorso esercizio in utile solo grazie all’effetto contabile positivo derivante dalla chiusura del derivato Alexandria. Bisognerà quindi vedere come sarà interpretato il risultato.

Naturale che nel frattempo la tensione sia alle stelle e che, come riferiva nei giorni scorsi Repubblica, sia ripartito il pressing sulla Cassa depositi e prestitiIntesa Sanpaolo e le fondazioni bancarie per un “salvataggio” di sistema che tuttavia, soprattutto per la società pubblica che gestisce il risparmio postale degli italiani, presenta non pochi profili di criticità. Lo sa bene Giuseppe Guzzetti, “azionista” sia di Intesa sia della Cdp, attraverso la Fondazione Cariplo che presiede da decenni e che è stato il mediatore della trattativa con il governo Renzi che ha portato all’uscita di Franco Bassanini dalla guida della Cassa, ottenendo tra il resto garanzie sui dividendi che saranno erogati agli enti azionisti. Anche in questo caso Guzzetti ha preso tempo sostenendo di “non avere nulla sul tavolo”. “Chiedete a Cdp – si è limitato a rispondere alle domande dei giornalisti – Aspettiamo cosa elaborano, io guardo sempre in positivo”. Sempre secondo il quotidiano del gruppo De Benedetti, però, dietro le quinte Guzzetti starebbe minacciando di “portare le Fondazioni fuori dalla Cdp” se questa entra nel Monte. Con conseguenze ancora più disastrose per i conti pubblici visto che in tal caso lo Stato dovrebbe mettere a bilancio anche il debito della Cassa Depositi e Prestiti.

Intanto in Borsa il titolo del Monte – che nel 2015 ha versato al direttore generale e amministratore delegato, Fabrizio Viola, 1.915.273 euro di stipendio mentre all’ex presidente Alessandro Profumo sono andati 186.896 euro e al suo successore Massimo Tononi 154.153 euro – continua a viaggiare sull’ottovolante. Lunedì, in scia alle attese dell’ingresso della Cdp nell’azionariato aveva guadagnato più del 10%, mentre martedì si è mangiato buona parte dei guadagni della vigilia e ha perso quasi il 6% a 0,6 euro.

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