Chissà se il prossimo 4 maggio, giorno del 40° anniversario della fondazione de El Paìs, sarà ancora possibile mettersi in fila dinanzi a un’edicola di Madrid o di un paesino andaluso per acquistare una copia del giornale.

Forse invece El Paìs cartaceo finirà prima, è la mancanza di file alle edicole che sta mettendo a dura prova i mezzi di informazione tradizionali, come il foglio, nato nel 1976, divenuto l’icona di una Spagna che volgeva lo sguardo verso un orizzonte più ampio del campo ristretto e buio nel quale l’aveva ricacciata il regime franchista.

Come il britannico The Indipendent, il quotidiano spagnolo manterrà le rotative in azione “fino a quando questo sarà possibile”, e intanto incrementerà la propria presenza sul web, ha annunciato in una lettera aperta ai lettori e alla redazione il direttore Antonio Caño.

È imminente la trasformazione del giornale in un mezzo essenzialmente digitale, i lettori del foglio cartaceo (che pure è il più diffuso e letto in Spagna) sono ridotti ormai ad una minoranza – spiega il direttore nella missiva pubblica –, non è più possibile proseguire il percorso avviato quarant’anni prima.

Negli ultimi anni il giornale ha subìto perdite di milioni di euro che hanno portato il Gruppo Prisa – titolare di una vera holding dell’informazione il cui principale azionista è dal 2010 il fondo di investimenti Liberty Acquisition – a ridurre di oltre cento unità l’organico del principale quotidiano iberico.

Se Reporter Senza Frontiere, nella speciale classifica sulla libertà di stampa (www.freedomhouse.org), posiziona la Spagna al 33° posto – l’Italia è messa molto peggio occupando il 73° posto nella graduatoria – i problemi finanziari dell’editore possono avere riflessi ben pesanti sulla linea del giornale.

È quanto, secondo molti, è accaduto a El Paìs: un’apertura alle politiche liberiste, maggiore attenzione verso il mondo della finanza, critiche esplicite a governi a guida socialista, polemiche aspre nei confronti di Podemos, il movimento della sinistra radicale, posizioni editoriali che farebbero sentire la presenza delle banche nel consiglio di amministrazione.

Una visione “mercantilista” messa in chiaro dallo scrittore e poeta Manuel García Viñó che qualche anno fa ha denunciato in un saggio il mutamento di rotta del foglio, il titolo del libello sembra avere il valore di un verdetto senza appello: “El País: La cultura como negocio” (la cultura come affare).

L’animo progressista si sarà forse affievolito, tuttavia l’icona rimane, il brand preciserebbero i detrattori.

El Paìs online è il portale più letto di Spagna, secondo i dati di “comScore”, con oltre 14 milioni di utenti mensili, più di sei milioni di seguaci sulle reti sociali, una crescita esponenziale in America latina – anche dell’edizione in lingua portoghese -, successi che inducono il direttore Caño a vedere un mezzo d’informazione sempre più americano, con grande spazio lasciato alle immagini e ai video.

Insomma, sembra avere ragione Alan Rusbridger, direttore del Guardian, quando sostiene che “i giornali sono in crisi, ma il giornalismo non è mai stato meglio”.

Il Fatto Personale

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