La procedura di vendita dell’Ilva di Taranto è “un esproprio” che la famiglia Riva ha “ingiustamente subito” e per il quale la famiglia di industriali ritiene “direttamente responsabile il Ministero dello Sviluppo Economico, in ogni sede, anche sovranazionale”. Bloccare la vendita dello stabilimento ionico, quindi, o lo Stato dovrà risarcire i danni ai Riva. È sostanzialmente questa l’ultima minaccia inviata dalla famiglia lombarda al ministro per lo Sviluppo Economico Federica Guidi, al sottosegretario alla presidenza del Consigli dei ministri Claudio De Vincentis e ai commissari straordinari Pietro Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba.

Nella lettera spedita dal liquidatore di Riva Fire lo scorso 8 marzo, i Riva attaccano a testa bassa i commissari straordinari colpevoli di aver pubblicato una relazione sullo stato di insolvenza di Ilva con “una ricostruzione gravemente erronea su aspetti fondamentali della vicenda” in particolare in riferimento alle violazioni in campo ambientale che, secondo i Riva, non sarebbero mai esistite. “Nessuna autorità amministrativa o giudiziaria ha ad oggi stabilito che Ilva spa abbia mai violato l’Aia” scrivono aggiungendo che gli stessi periti del gip Patrizia Todisco avrebbero sostenuto che l’Ilva di fatto non ha mai violato l’autorizzazione integrata ambientale rilasciata nel 2011. Riva Fire, però, dimentica che quell’Aia rilasciata dal governo Berlusconi non solo è stata riesaminata subito il sequestro disposto dalla magistratura tarantina, ma che l’avvocato dell’Ilva Francesco Perli, intercettato dai finanzieri durante le indagini, avrebbe secondo le accuse della procura intrattenuto “rapporti diretti e non ‘strettamente istituzionali’ con funzionari della Regione Puglia e del Ministero dell’Ambiente e in particolare con i membri della Commissione Aia” per ottenere nonostante “le gravi criticità dello stabilimento, il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale”. Un’autorizzazione che lo stesso Perli descrisse dicendo “l’abbiam scritta noi” provvedendo a “pilotare l’ispezione – aggiungono i magistrati – presso lo stabilimento jonico da parte del gruppo istruttore della procedura Aia”.

Ma i vertici di Riva Fire scrivono anche altro. Accusano i commissari straordinari di aver accreditato “anche in sede giudiziaria una ricostruzione degli eventi palesemente smentita da ampia e concordante documentazione”. Lo scorso 23 febbraio, infatti, l’avvocato Angelo Loreto che assiste l’Ilva commissariata annunciò dinanzi al tribunale di Taranto che presto avrebbe presentato una nuova istanza di patteggiamento per uscire dal processo “Ambiente svenduto”. Nella sua discussione il legale dei commissari Gnudi, Carrubba e Laghi ha sostanzialmente riconosciuto la fondatezza delle accuse mosse dalla procura di Taranto e anche il risparmio illegittimo compiuto dalla famiglia Riva durante gli anni tra il 1995 e il 2016 sottolineando come il Gruppo industriale lombardo non abbia investito sufficiente nella sicurezza e nell’ammodernamento dell’impianto. Un punto che per i Riva è “gravemente lesivo del nostro diritto di difesa” e che sarebbe “funzionale a rimuovere gli ultimi ostacoli che ancora impediscono al Governo il conseguimento del tassello conclusivo del disegno dell’esproprio di fatto da noi ingiustamente subito”. Insomma per i Riva è studiato per espropriarli della fabbrica tarantina e non solo e il Gruppo annuncia nuovamente battaglia: “Riterremo – concludono nella missiva al ministro Guidi – direttamente responsabile il Ministero della Sviluppo Economico, in ogni sede, anche sovranazionale” .

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