Se un popolo con la pancia piena è essenziale per evitare le guerre, laddove l’accesso al cibo o all’acqua si fa scarso e precario, il conflitto è una possibilità molto concreta.

di Leonardi Stiz

(WORLD SECTION) AFGHANISTAN-KABUL-DISPLACED CHILDREN

Il diritto al cibo è stato definito da Livia Pomodoro, Presidente del Milan Center for Food Law and Policy, come il primo di tutti i diritti fondamentali. Non è un caso: dall’accesso al cibo e all’acqua dipende il soddisfacimento di tutti gli altri bisogni dell’uomo. La storia insegna che la scarsità di risorse alimentari è una conseguenza usuale di molti scontri violenti, ma è accaduto altrettanto spesso il contrario. In quale misura l’insicurezza alimentare è di per sé una causa diretta di conflitti? I rapporti di causalità che collegano il fenomeno della food insecurity ed episodi di violenza più o meno estesi si basano sul forte effetto motivazionale che la mancanza di cibo riversa sui reclami economici e sociali degli individui, generando una situazione in cui i costi di partecipare ad un conflitto sono di gran lunga meno rilevanti dei benefici, in virtù del ruolo vitale delle risorse alimentari per gli individui.

Nel contesto globale l’insicurezza alimentare è prevalentemente causata dall’aumento dei prezzi del cibo. Tali prezzi sono spesso estremamente volatili e raramente connessi alla produzione, elementi che rendono precaria la condizione alimentare per i Paesi sottosviluppati e con fragile potere d’acquisto, che sono poi quei Paesi dove la popolazione può arrivare a spendere anche il 70% del proprio reddito per procurarsi il cibo. È interessante osservare la relazione tra prezzo del cibo ed episodi conflittuali. Il picco registrato dal Food Price Index della Fao nel biennio 2007-2008 coincide con un inasprimento di rivolte ed episodi di violenza in numerosi Stati, ed un secondo aumento registrato nel 2011 è annoverato tra le concause dei violenti episodi di transizione politica delle “primavere arabe” in Nord Africa.

fao-food-price-index-june-2013-jpeg

credits: fao.org

Il 65% della popolazione in condizioni di insicurezza alimentare a livello globale risiede in soli 7 Stati (India, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Indonesia, Pakistan ed Etiopia). A parte la Cina, tutti questi Paesi hanno affrontato, nello scorso decennio, conflitti civili più o meno gravi. In particolare, la maggior parte dei Paesi piagati da violenze intestine sono stati caratterizzati da una condizione di fame diffusa tra la popolazione, ma anche dalla disponibilità di beni in mano ad una fetta più ristretta di cittadini, condizione che inasprisce i conflitti ed i reclami in situazioni di scarsità alimentare.

Non mancano già alcuni fatti critici, capaci di destabilizzare intere aree. La costruzione in Etiopia della diga denominata Gerd – che una volta conclusa diventerà la più grande diga africana – sta causando aspre controversie con l’Egitto. La struttura infatti è situata sul corso del Nilo Azzurro, ed ha l’obiettivo di sfruttare le sue acque per generare energia elettrica e per fornire risorse idriche alla zona circostante, affetta da siccità. Il sostanziale controllo sul fiume che l’Etiopia potrà vantare, costituisce un grosso fattore di preoccupazione per Il Cairo, che ha nel Nilo la maggior fonte di sostentamento idrico. Il governo egiziano ha più volte chiesto lo stop alla costruzione della diga, ed avviato iniziative diplomatiche per minarne il supporto internazionale.

In Siria, i bombardamenti e le devastazioni che stanno interessando larghissime fette di territorio avranno, nel medio-lungo periodo, l’effetto di ridurre la produttività dei terreni coltivabili dell’area. Non è un caso che buona parte dei profughi siano contadini: questo fenomeno renderà ancora più difficile il ristabilimento di una situazione di pace e sviluppo.

Un altro fenomeno di criticità geopolitica legata al cibo è quello del land grabbing: la Banca Mondiale stima che nel solo periodo dal 2008 al 2009 sono stati acquisiti terreni per un’estensione pari a circa quella della Francia da parte di governi o multinazionali. Le aree interessate sono quelle sottosviluppate dell’Africa Subsahariana e dell’America del Sud. Il picco dei prezzi del cibo segnato nel 2007-2008 ha infatti dato vita a numerose attività di speculazione, che hanno portato ad una corsa all’accaparramento di terreni agricoli per colture alimentari, commerciali e per la produzione di biocarburante. Il controllo da parte dai Paesi più ricchi e delle multinazionali delle risorse alimentari dei Paesi sottosviluppati, sebbene non se ne ignorino alcuni effetti positivi, sta d’altra parte creando diversi problemi alle popolazioni locali, con conseguenze che si potrebbero estendere anche a fenomeni come la carestia che sta vivendo proprio l’Etiopia in questo periodo.

landrushmap

Credits: W. Anseeuw, L. Alden Wily, L. Cotula, e M. Taylor in “Land Rights and the Rush for Land” / (Rome: International Land Coalition, 2012)

Se cibo e acqua sono sempre stati strumenti di potere ed elementi forieri di controversie, ancora di più lo saranno in un futuro, dove la disponibilità globale di risorse si prospetta scarsa o iniqua a livello internazionale.

Articolo Precedente

Giulio Regeni, l’Egitto cambia strategia: “Magistrati di Roma invitati al Cairo”

next
Articolo Successivo

Brasile, procura chiede l’arresto dell’ex presidente Lula per l’attico di lusso. “Atto di banditismo”

next