La rotta dei Balcani è ufficialmente chiusa. La chiusura del confine sloveno al passaggio dei migranti, in vigore dalla mezzanotte, ha provocato un effetto domino negli Stati a sud. Come annunciato ieri da Lubiana, tutti i confini del paese sono ormai aperti solo a persone con passaporti regolari, ma non ai migranti. La misura è stata immediatamente imitata da Croazia, Serbia e Macedonia, lasciando bloccati in Grecia 40mila profughi. A Idomeni, al confine con la Macedonia, sono in attesa in più di 13mila persone in una situazione di grave disagio, aggravata da fango e pioggia battente.

“Il nostro obiettivo è ripristinare pienamente il funzionamento del regime di Schengen invece di costruire muri all’interno dell’area Schengen”, aveva detto martedì sera il primo ministro sloveno Miro Cerar, annunciando la chiusura al passaggio dei migranti. In Slovenia, con i suoi due milioni di abitanti il più piccolo paese della rotta Balcanica, potranno entrare ora solo 40-50 richiedenti asilo al mese nell’ambito del sistema europeo di quote di collocamento, fino ad un massimo di 567 persone. Un migliaio di migranti resta, poi, bloccato in un campo profughi sul lato macedone del confine serbo, mentre altre 400 persone lo sono nella terra di nessuno tra i due Paesi. I migranti rifiutano di tornare in Macedonia, ma non viene loro consentito di entrare in Serbia per proseguire il viaggio verso l’Europa occidentale.

La decisione di Lubiana ha avuto il placet di Bruxelles. “I flussi irregolari di migranti lungo i Balcani occidentali sono finiti – ha scritto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, sul suo profilo Twitter – non si tratta di azioni unilaterali, ma di una decisione comune ai 28 Paesi dell’Unione europea”. “Ringrazio i Paesi dei Balcani occidentali per aver applicato parte della strategia globale dell’Ue per far fronte alla crisi migratoria”, si legge in un altro post.

Subito dopo l’annuncio di Lubiana, i Paesi a sud si sono adeguati. Analoghe misure sono state annunciate dalla Croazia, paese confinante che è membro dell’Ue ma non fa parte dell’area Schengen. “La Serbia non può diventare un centro di raccolta per i profughi, ci armonizzeremo con le misure dell’Ue”, ha aggiunto subito il ministero dell’Interno di Belgrado, preannunciando il blocco ai migranti provenienti dalla Macedonia e la Bulgaria. Anche la Macedonia, che già aveva ridotto il passaggio a poche decine di persone, ha ormai chiuso il confine.

Di conseguenza rischia di aggravarsi l’emergenza in Grecia. La situazione è particolarmente grave nel nord del Paese, con circa 20mila persone in attesa vicino al confine macedone. Secondo fonti Ue queste persone dovranno essere suddivise: chi ha diritto alla protezione internazionale (potrà chiedere l’asilo per restare in Grecia o essere ricollocato), gli altri saranno rinviati nel Paese di provenienza (la Grecia si è accordata con la Turchia per poterlo fare) o in quello di origine. Del quadro complessivo parleranno giovedì i ministri dell’Interno dell’Ue, impegnati anche a discutere di terrorismo e a trovare un accordo sull’agenzia delle Guardie di frontiera europee ad aprile, con l’obiettivo di chiudere il negoziato con l’Europarlamento entro giugno.

Intanto al Coreper, gli ambasciatori dei 28 hanno iniziato a negoziare sull’accordo con la Turchia, ma le trattative – spiegano fonti europee – andranno avanti fino all’ultimo minuto prima del vertice dei leader del 17 e 18 marzo, dove sul tavolo planerà anche la comunicazione della Commissione Ue sulla revisione di Dublino (sarà presentata il 16 marzo), con cui si proporranno quattro scenari possibili per avviare il dibattito. Per dare una cifra di quanto sia complicata la discussione sull’accordo con Ankara, fonti diplomatiche spiegano che i tre miliardi aggiuntivi richiesti al momento appaiono lo scoglio minore.

Persino Estonia, Lettonia e Lituania stanno pensando di blindare i confini con una barriera, nella preoccupazione che numeri consistenti possano muoversi sulla cosiddetta “rotta artica“, attraverso la Russia. Renatas Pozela, comandante delle guardie di frontiera lituane spiega: “Fino allo scorso anno, né la Norvegia, né la Finlandia hanno mai avuto problemi di immigrazione sulla frontiera russa, poi i flussi su quel confine sono saliti in una sola settimana, come per magia”.

In seguito alla chiusura della rotta balcanica il governo ungherese ha proclamato lo stato di crisi in tutto il Paese. Lo ha annunciato il ministro dell’Interno Sandor Pinter. In seguito a questa decisione, la polizia e i militari ungheresi saranno rafforzati con altri 1.500 soldati. Budapest, inoltre, manderà altri poliziotti e soldati a controllare i confini meridionali del Paese, mentre si prepara a costruire entro 10 giorni una barriera alla frontiera con la Romania per fermare gli arrivi dei migranti.

Il rischio, ovvero la quasi certezza, che i flussi migratori proseguano su altre traiettorie riguarda anche l’Italia. “Probabile che in Puglia ci sia un grande arrivo di migranti – ha detto il governatore  Michele Emiliano a Otto e mezzo su La7 – 150 mila persone rischiano di arrivare insieme questa estate. Siamo in attesa di ricevere indicazioni dal governo”.

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