Il 7 marzo è atterrato in Alitalia Cramer Ball, l’australiano che ha risanato l’indiana Jet Airways e rilanciato la Seychelles Airlines e ora chiamato a domare anche i conti della compagnia italo-araba. A Fiumicino troverà però una situazione mai vista prima. La compagnia, per cambiare, è alle prese con un problema di gestione del personale navigante: si tratta del sistema di turnazione che da sette anni le consente di richiamare in servizio piloti e assistenti di volo durante i turni programmati come riposo, con tanto di contestazione e sanzioni disciplinari a chi rifiuta di decollare. Il meccanismo è stato introdotto dal 2009 in accordo con i sindacati e in Europa non ha eguali. In sette anni questo sistema flessibile di gestione del personale non ha certo fermato le perdite della compagnia ma ha contribuito a tenere in piedi l’operativo e le tratte di Alitalia, sollevandola dal ricorrere al personale che – nel frattempo – sacrificava sull’altare degli esuberi. “In particolare – lamenta il personale costretto al decollo – sottraendo riposi all’organico nei periodi di picco per poi “restituirli” nei periodi di bassa stagione”.

Il 16 ottobre scorso però la prassi dei “riposi movibili” è andata a sbattere contro una sentenza del Tribunale di Civitavecchia che, accogliendo il ricorso di un dipendente e del Comitato del personale navigante (ACC), li ha bollati come “illegittimi” perché in contrasto con le norme europee sulla sicurezza in volo e in materia di tutela dei diritti del lavoratore. Alitalia SAI però tira dritto per la sua strada. In una nota ribadisce di “rispettare in modo rigoroso le normative in vigore e prevedere almeno 7 giorni di riposo “inamovibili” al mese per il personale navigante. Su base trimestrale, prevede 30 giorni di riposo e dunque ben oltre i 21 giorni previsti per legge. Ed è su questi giorni di riposo “eccedenti” (fermi restando, dunque, i 7 mensili “inamovibili”) che viene applicata la previsione contrattuale dei riposi “movibili”. Si tratta di una procedura vantaggiosa in quanto garantisce ai lavoratori giorni di riposo in più senza impatti negativi per la produttività dell’azienda”. Nel frattempo Alitalia CAI – oggi braccio finanziario del gruppo – ha proposto appello e la nuova gestione, nonostante la sentenza, continua a comminare sanzioni a chi rifiuta il decollo nei riposi, l’ultima risale a poche settimane fa. Così, la spada di Damocle è rimasta ben dritta sulla testa di piloti e assistenti di volo, ossia tutti i preposti a garantire la sicurezza a bordo. E sia, l’azienda fa il suo mestiere.

E di quella sentenza che fanno i sindacati? Niente: non potendo sollevare conflitto su ciò che firmano le otto sigle (otto!) presenti in Alitalia si schierano al fianco dell’azienda e danno indicazione di partire al personale che si vede assorbire i riposi. A dirla tutta hanno anche poca voglia di parlarne: il delegato della Filt-Cigil, Fabrizio Cuscito, è molto molto impegnato, non risponde; il segretario della Uil Trasporti Marco Veneziani è in riunione permanente e buca sistematicamente gli appuntamenti telefonici che, di volta in volta, lui stesso fissa. A denti stretti qualcuno ammette: “E’ vero, è stato un accordo al ribasso. Tutta questa flessibilità non ha fatto bene al lavoro…”. Un modo elegante per ricordare che da quando è in vigore quell’accordo il personale Alitalia si è ridotto della metà, passando da 21mila a 12mila unità.

Mr Ball dovrà poi districarsi in un altro paradosso tutto italiano. Dal 1 marzo 2014 Alitalia è in regime di solidarietà, prima per 767 unità ora per 340. Significa che piloti e gli assistenti di volo stanno  fermi fino a 13 giorni al mese per far lavorare i colleghi in esubero e il loro stipendio – per quel giorno – è anticipato dall’Inps a valere sul Fondo speciale per il Trasporto aereo (Ftsa), quello che si alimenta tassando con 3 euro tutti i passeggeri per garantire l’80% della retribuzione. Un prelievo alla fonte da 230 milioni l’anno. In 30 anni – secondo Mediobanca – la compagnia è costata agli italiani la bellezza di 7,4 miliardi. E’ dunque lecito domandarsi, a questo punto, se sia legittimo richiamare in servizio il personale dal legittimo riposo – a scapito dei diritti, se non della sicurezza – e tenerlo poi a casa, senza farlo lavorare, quando è pagato dalla collettività.

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