spartiti coverL’appuntamento per l’intervista è fissato alle ore 12, ma quando chiamo Max Collini sul cellulare mi chiede se possiamo risentirci dopo mezz’ora, ché in quel momento è all’Agenzia delle Entrate. “Nessun problema”, gli dico, e infatti, non appena si divincola dagli impegni burocratici, entra in macchina ed è da lì che ci sentiamo. È la sua prima intervista da membro degli Spartiti, il nuovo progetto, in uscita il prossimo 11 marzo, che ha messo su insieme con Jukka Reverberi e che non si discosta di molto dallo stile Offlaga. “Gli Offlaga Disco Pax sono sempre stati un gruppo particolare, con equilibri molto precisi che nel tempo sono cambiati poco. Credo che sia stato naturale per me e Daniele Carretti, a prescindere dal dolore, considerare chiusa quell’esperienza il giorno della morte di Enrico Fontanelli. Non è una questione di valori ma di sentimenti. Ora però cambiamo argomento, che mi sta venendo su un magone…”.

Max, come mai eri all’Agenzia delle Entrate?
Io di mestiere… faccio un’altra cosa! Una specie di agente immobiliare che si occupa di locazioni… Ho sempre continuato a lavorare, lo sanno tutti. C’è anche un video su Youtube dove vengo intervistato nel mio ufficio.

Hai iniziato tardi la tua attività artistica…
Il mio primo concerto con gli Offlaga l’ho fatto che avevo 35 anni, quindi avevo già una vita, un lavoro. Facendo il libero professionista ho avuto la possibilità di organizzarmi e la fortuna di potermi dedicare anche all’attività artistica. Se avessi avuto un cartellino da timbrare, le 158 date per il tour di Socialismo tascabile non avrei potuto farle.

Che ricordi hai delle primissime volte sul palco?
Ancora adesso il mio rapporto con il palco è complicato, nonostante il mio primo concerto risalga al 2003 – quindi a 16 anni fa – e abbia superato le 500 esibizioni dal vivo tra Offlaga, Spartiti e altre esperienze. Non mi sento mai completamente a mio agio, non ho una dimestichezza forte con il palco. Vivo un piccolo disagio che però è quello che mi tiene concentrato e mi aiuta a far bene. In fondo, non ho mai desiderato mettermi al centro dell’attenzione e le prime esibizioni le vivevo con terrore. Avevo molta paura. Oggi non è più così, anche se continuo ad avere sempre un po’ di ansia.

Essendo tu una voce narrante più che un cantante…
Non sono assolutamente un cantante e i nove brani di Austerità sono accomunati da basi musicali su cui i testi non vengono cantati, bensì recitati.

…E’ mai capitato che il pubblico, spiazzato, si ribellasse affinché tu cantassi?
È un problema che non si pone più da molti anni. I primi tempi, quando gli Offlaga erano ancora un gruppo esordiente che usciva con il suo primo disco, ci confrontavamo spesso con un pubblico che non sempre era preparato a quello a cui avrebbe assistito. Nel 2005/2006 l’accesso a Internet era diffuso ma non esondante come oggi e il pubblico, composto perlopiù da persone curiose, veniva ai nostri concerti ma non sempre era pronto. Ricordo una data a Udine, in cui vennero ad ascoltarci un centinaio di persone, tantissime all’epoca per un gruppo come il nostro che non si era mai sentito, di un’altra città e che non aveva pubblicato neppure un album. Alla fine del quinto pezzo erano rimaste in 30 ma quelle 30 persone hanno continuato a seguirci negli anni. È il solito discorso: o piaci molto o fai cagare.

Il carino di mezzo non ha mai offerto molte opportunità.
In effetti è così.

Non tutti hanno la sensibilità e la pazienza nell’ascolto di un disco.
Immagino che per la stragrande maggioranza del pubblico medio, un disco degli Spartiti possa risultare indigeribile. Se si entra nella logica dell’ascolto qualcosa riusciamo a comunicare a tutti.

Parliamo allora di Austerità
Ma tu l’hai ascoltato il disco?

Certamente!
E non ti sei addormentato? Ahahah. Spartiti è un percorso che parte da lontano. I primi vagiti risalgono al 2007, quindi giungiamo al disco d’esordio ufficiale non dopo esserci chiusi in una sala prove ma in seguito a un lungo percorso dal vivo all’inizio votato esclusivamente all’improvvisazione. Non avevamo ancora un nome, mentre lo spettacolo si chiamava Letture emiliane. Nell’autunno del 2013 abbiamo deciso di strutturare quello che fino ad allora era stato solamente un divertissement e chiamarci Spartiti, per noi che avevamo sempre improvvisato, era un controsenso, una cosa molto ironica, divertente. E poi Spartiti è un nome che si presta anche ad altre interpretazioni: spartiti nel senso che i compiti sono completamente divisi tra noi, o potrebbe voler dire che i partiti non ci sono più perché sono spar(t)iti. Ma principalmente l’esserci dato un nome che indica una musica scritta e immutabile per noi che veniamo da un percorso di improvvisazione, è stato la molla.

Come nasce il connubio con Jukka Reverberi?
Con lui mi trovo benissimo anche se veniamo da un percorso diverso. Ha una sensibilità eccezionale e la sua musica amplifica i miei messaggi e crea sentimenti. L’emotività è un elemento molto forte in questo disco e non potrei fare questa cosa senza di lui che è diventato una colonna per me. Jukka è inoltre il figlio di Jones Reverberi, che è stato per molti anni il segretario del Partito comunista italiano di Cavriago. C’è questa cosa fantastica: Jukka è finito in una canzone degli Offlaga Disco Pax, più di dieci anni fa, in Piccola Pietroburgo, e oggi è finito a fare canzoni con me. All’epoca io sapevo chi fosse ma non lo conoscevo neanche. Oggi oltre alla passione per la musica ci lega anche quella per la politica. Siamo entrambi osservatori molto attenti.

A proposito, qual è l’opinione sul partito – democratico – nel quale è confluito il Pci?
Dovremmo farla finita finalmente di stare qui a menarla che il Pd è in qualche modo l’erede storico del Pc. È una cagata! Non è vero. Il Pd è un’altra roba, ha un altro dna. Che poi ci siano tanti ex dirigenti o militanti che per opportunismo, per passione o per sincera convinzione sono confluiti nel Partito democratico è un altro discorso. Unire le due cose è sbagliato e intellettualmente disonesto.

Un disco rosso a partire dalla copertina suprematista.
Il suprematismo è la nostra passione – mia e di Jukka – ed è una citazione del Quadrato Rosso di Malévic, il quale sosteneva che il fine dell’artista doveva essere quello di ricercare un percorso che conducesse all’essenza dell’arte, all’arte fine a se stessa.

Alcune canzoni come Vera, in cui racconti del ricatto fatto alla figlia di un tuo professore del liceo, sembrano nate sul tuo diario giovanile. È così?
Sì, ma quando le scrivevo all’epoca non avevo certamente l’autoironia che ho oggi. Ma anche se enfatizzato, il racconto è proprio quello lì. Una carognata alla Zanardi, personaggio di Andrea Pazienza.

Il brano Austerità ha un testo toccante.
È un racconto autobiografico risalente a un fatto del ‘73, che non ho scritto in prima persona altrimenti sarebbe stato impossibile da leggere. Credo di aver tratteggiato in questa storia minima – anche per questo il titolo berlingueriano Austerità – un mondo. Ed esser riuscito a trasmettere un sentimento è per me importante.

C’è nei testi anche un piglio pedagogico: hai mai desiderato di fare l’insegnante?
Intanto avrei dovuto laurearmi in Lettere, cosa che non ho fatto, anche se ho dato qualche esame. Facevo troppe cose da ragazzo, e alla fine non avevo né i soldi, né il tempo, né la voglia. Non so se sarei stato un buon insegnante. A me piace raccontare storie, lo preferisco a un approccio pedagogico. Non penso mai che abbia qualcosa da insegnare. Mi accontenterei che qualcuno ascoltando le storie che racconto poi approfondisca. Sarebbe un grandissimo risultato.

Un brano come Sendero Luminoso può far presa su giovani in cerca di un’identità politica.
Ho scritto quel testo assieme ad Arturo Bertoldi che avevo 19 anni, quando l’ho ritrovato non ricordavo neanche cosa avessimo scritto. A rileggerlo rischiavo di soffocarmi, ridevo di tutte quelle cose scritte insieme, della loro fuoranza… si trattava di una trollata micidiale quando la parola troll era inesistente. Una presa per il culo fatta a tutti con un’ironia che a 30 anni di distanza è immutata. Non so cosa avessimo in testa io e Arturo quel giorno, quando ho riletto che ‘alle 17 e 30 c’è stato l’attacco a una chiesa con l’impiccagione del parroco’ sono quasi svenuto. Spero si colga l’ironia.

Il brano Banca locale parla di attualità.
Il testo è stato scritto molto prima che scoppiassero gli scandali delle banche popolari quindi non ha un legame diretto. Lo ha per gli eventi che sono accaduti dopo. In realtà vuole ripercorrere cosa rimane nella memoria collettiva di alcune cose in una regione, zona geografica come la nostra, in cui la cooperazione, le cooperative rosse, sono diventate fondamentali per lo sviluppo e il benessere della nostra comunità. La cooperazione è stato un motore di sviluppo economico e sociale, oggi ha lasciato solo macerie. Non è un brano di critica sociale ma parla di storia. Racconta l’equivoco di questa persona della mia città che confonde la Cooperbanca con una ipotetica famiglia Cooper, un equivoco fantastico, tipo Dallas…

Quali sono le tue ambizioni legate a questo disco?
Non sono un tipo ambizioso in natura, abbiamo semplicemente cercato di fare un passaggio successivo al nostro percorso. Veniamo da due anni di concerti autoprodotti in cui ci siamo gestiti tutto senza ufficio stampa, senza booking, autoproducendoci un cd dal vivo stampato in 250 copie, e distribuito solo ai concerti, già esaurito e ora in ristampa fino ad arrivare a 800 copie. Abbiamo fatto circa una sessantina di date, alcune più faticose di altre quando non hai un disco fuori. Ci siamo andati a cercare un pubblico un po’ alla volta, porta a porta quasi, ci siamo creati un seguito e ora la situazione è passata a una più strutturata e professionale, è un passaggio successivo che dà un’ufficialità e che non trasmette più un’estemporaneità che in qualche modo poteva essere percepita come accade ai side project.

Ultima domanda: come mai non hai coinvolto nel progetto anche Daniele Carretti?
(Ci pensa un po’) Se avessi coinvolto Daniele, Jukka sarebbe stato il sostituto di Enrico negli Offlaga Disco Pax… e gli Spartiti non sono mica i New Order! Ci tengo a sottolineare che gli Spartiti esistevano già quando ancora c’erano gli Offlaga. Non c’è sovrapposizione. Non è un progetto nato perché gli Offlaga si sono sciolti.

Prima di riattaccare, Max mi dice: “Sai, sono nella mia macchina, ho parcheggiato in via Fontanelli. Sono proprio sotto il cartello che indica la via. Qualcuno sopra col pennarello c’ha scritto Enrico. Via Enrico Fontanelli. Questa è la prima intervista che faccio a nome Spartiti, da quando abbiamo sciolto gli Offlaga. A Enrico questa intervista sarebbe piaciuta sicuramente”.

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