Cultura

8 marzo, dalla Nuova Zelanda all’Arabia Saudita: il voto alle donne è (ancora) una conquista

La direttrice della Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna Tagliavini: "In Italia servirono prima le riforme in merito a patrimonio e genitorialità". La dottoranda all'Università di Pavia Orkide Irci: "In Medio Oriente il mondo femminile punta prima ad altre libertà più importanti". La docente alla Columbia university Nadia Urbinati: "Per ottenere diritti ci vogliono fatica, tempo e talvolta anche un po' di violenza"

di Davide Turrini

Titoli di coda di Suffragette, il film diretto da Sarah Gavron sulla storica e tragica epopea delle donne inglesi che combatterono per ottenere il diritto di voto. Scorre un rullo con una selezione di date in cui i governi dei vari Paesi hanno concesso il suffragio femminile. Anni e nazioni si susseguono come fossero normali credits di maestranze. Prima c’è qualche “oooh” singolo, poi man mano si passa al “ma dai”, e si arriva perfino a qualche risatina collettiva. Visto il film due volte, il crescendo si ripete identico. E’ la sorpresa forse meno sbandierata ma più significativa del film, oltre lo script e i personaggi interpretati da Carey Mulligan e Meryl Streep. Basta fare l’elenco degli anni in cui è stato concesso il voto alle donne, per chi ancora non ha visto Suffragette, e la questione è subito messa a fuoco: 1893 Nuova Zelanda, 1917 Russia, 1920 Stati Uniti, 1928 Gran Bretagna, 1932 Brasile, 1934 Turchia, 1949 Cina e India, 1953 Messico. E ancora: 1971 Svizzera, 1973 Giordania, 1976 Nigeria, 2003 Qatar, dicembre 2015 Arabia Saudita.

“E’ un’idea grandiosa e fondamentale questo rullo sui titoli di coda nel film. Nessuno conosce questo elenco di date. Sappiamo a malapena quella italiana. Quando vado nelle scuole a fare lezione sul tema sono soprattutto i professori a non esserne mai stati al corrente”, spiega Annamaria Tagliavini, direttrice della Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna. “Tra l’altro ancora prima della Nuova Zelanda, nel 1893 ancora una colonia inglese e non uno stato indipendente, avevano concesso il voto alle donne alcuni territori statunitensi, il Wyoming e il Massachussets. Ma siamo sempre nelle colonie e lontani dalla madrepatria. In Europa la conquista sarà più tarda e legata a un insieme di riforme più eterogenee che comprendono i diritti al patrimonio e alla genitorialità”.

Vi sono poi i casi che fanno esclamare dallo stupore: già nel 1917 con la Rivoluzione d’Ottobre in Russia e solo nel 1971 in Svizzera. “L’emancipazione delle lavoratrici e delle donne in generale nella dottrina marxista era estremamente presente. Solo che era più nella forma che nella sostanza. Se si pensa che poi in Russia fino al 1989 non ha più votato nessuno, siamo di fronte a un grosso paradosso”, spiega Tagliavini. “Il caso svizzero è altrettanto singolare, ha una tempistica da decolonizzazione come in molte nazioni africane. Intanto è un Paese conservatore, un’enclave strana. Una regione chiusa che non comunica tanto nemmeno oggi con il resto d’Europa se non per ragioni legate ai flussi finanziari”. Altra data inattesa è l’attuale Turchia dove le donne hanno iniziato a votare già nel 1934, ben prima dell’Italia (1946) e della Francia (1944): “Il movimento delle donne ottomane nell’ottocento era fortissimo, la partecipazione era altissima. Sono tornata in Turchia pochi mesi fa e tutte le donne sono velate. Nessuno poteva prevedere un integralismo del genere”. Ma è la difficoltà con cui le nazioni del Medio Oriente legate all’Islam hanno concesso il diritto di voto alle donne a stupire oltre ogni ragionevole dubbio. “Sono intrecci schizofrenici. In Iran lo Scià aveva consentito diritto al voto ed emancipazione femminile sotto differenti aspetti sociali ed economici, poi è arrivato l’Ayatollah e siamo tornati indietro. In Tunisia nell’ultima ribellione della Primavera Araba le donne sono tornate protagoniste. La questione è complessa, i diritti concessi alle donne vanno e vengono in questi paesi, sono come la cartina tornasole della democrazia”.

“Rischiamo di generalizzare troppo rispetto alle donne musulmane. Si cita sempre l’Arabia Saudita come esempio peggiore, ma forse le donne di quel paese reputano più importanti altre libertà rispetto a quelle di espressione e di voto che in Europa si giudicano fondamentali”, aggiunge Orkide Irci, dottoranda all’Università di Padova con una tesi sull’emancipazione femminile delle donne curde. “Le donne curde sono musulmane, ma stanno attuando una lotta su un doppio binario: contro lo Stato islamico, e contro il patriarcato all’interno della società curda. Nelle nazioni arabe ci sono molte donne che mettono il velo perché si sentono a proprio agio, e invece la semi-nudità delle donne europee le farebbe sentire un oggetto sessuale. Stiamo attenti a rendere i diritti civili europei identici a quelli del mondo arabo. Io ad esempio non do per scontato che in Occidente la donna sia totalmente emancipata. Ad esempio le vittime predestinate di questa crisi economica sono le donne. Io ho 29 anni e non posso permettermi un figlio per via della precarietà”.

“Senza falsi moralismi e buonismi dobbiamo affermare con sincerità che questi Paesi a tradizione religiosa sono più refrattari alle donne nella politica: è un dato di fatto. L’Arabia Saudita sotto questo aspetto è il più arretrato di tutti”, sottolinea la professoressa Nadia Urbinati, titolare della cattedra di Scienze Politiche alla Columbia, ed esperta di storia delle donne. “Io il film Suffragette l’ho visto negli Stati Uniti a novembre 2015 e nessuno si è stupito sul rullo con quelle date. In Italia leggiamo poco e ci affidiamo a un film come fosse oro colato. Le battaglie per l’emancipazione al diritto di voto per le donne in Inghilterra fu ben più cruento rispetto a quello che si vede nel film. C’è stata una violenza durissima, e grandi contrasti all’interno del movimento femminile inglese. Per ottenere diritti ci vogliono fatica, tempo e talvolta anche un po’ di violenza”.

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