“Non mi risulta che ci sia stato il pagamento di un riscatto”. Secondo il presidente Copasir Giacomo Stucchi, intervistato da Affaritaliani.it, il sequestro degli italiani in Libia si sarebbe risolto perché Filippo Calcagno e Gino Pollicardo si sono “liberati da soli”. Restano infatti ancora da chiarire le dinamiche che hanno portato al salvataggio di due tecnici della ditta Bonatti di Parma e invece alla morte degli altri due colleghi, Salvatore Failla e Fausto Piano, in un primo momento rapiti insieme a loro. L’ex ostaggio Calcagno, a poche ore dal rientro in Italia, ha ricostruito le ultime ore della prigionia, spiegando che prima ha deciso di provare ad aprire la porta con un chiodo e poi ha chiesto a Pollicardo di sfondarla: “Quando si è aperta la porta l’altro dubbio era di trovare chiusa dall’esterno la porta che dava fuori, invece era aperta e fuori non c’era più nessuno”.

Intanto chi chiede chiarimenti sui fatti è la vedova di Failla, Rosalba Scorpo. “Non abbiamo alcun riscontro sul rientro delle salme in Italia”, ha dichiarato il suo avvocato. “La mia assistita chiede al governo di avere delle risposte sul rientro della salma, ma soprattutto chiede che l’autopsia non venga eseguita in Libia”.

I due ex ostaggi sopravvissuti alla prigionia subito dopo il rientro sono stati sentiti dai pm romani. Davanti a loro hanno ricostruito i sette mesi nelle mani dei criminali. I tecnici della Bonatti hanno detto che avevano il timore che i rapitori volessero venderli all’Isis. Il timore fu espresso secondo quanto è emerso negli interrogatori di Calcagno e Pollicardo da Salvatore Failla. Fu lui che chiese ai sequestratori: “Vi prego non vendeteci all’Isis“. E la risposta fu: “No, non vi vendiamo a chi ammazza le persone”.

La circostanza è stata rivelata come si è detto dal pm Sergio Colaiocco al quale i due superstiti hanno fornito una serie di particolari e tra questi il fatto che fino al 2 marzo tutti e quattro i rapiti erano assieme poi a un certo momento i sequestratori presero Failla e Piano separandoli dai compagni. “Non abbiamo capito il perché di questa separazione ed è stata una separazione a carissimo prezzo perché Failla e Piano sono morti in uno scontro a fuoco con le milizie di sicurezza libiche“. Al magistrato hanno anche riferito di non aver saputo quale era stata la sorte dei compagni e di essere rimasti 48 ore chiusi in una casa senza cibo e né acqua. “Per due giorni non abbiamo sentito alcun rumore e allora abbiamo deciso di forzare la porta e uscire… ci è andata bene”.

Il presidente Copasir: “Non mi risulta sia stato pagato riscatto”
Giacomo Stucchi
, intervistato da Affaritaliani.it, ha smentito che l’Italia abbia versato denaro per risolvere la crisi degli ostaggi. “Ho sentito del pagamento di un riscatto”, ha detto il presidente del Copasir, “e ho sentito del pagamento di un riscatto in mani sbagliate. Dico solo che delle modalità di risoluzione di un sequestro come questo il Comitato che presiedo viene informato e può acquisire tutta la documentazione in merito. Per questo posso dire che non mi risulta che ci sia stata una scelta di questo tipo. Nessuno ha mai riferito al Copasir tale fatto”. Stucchi ha anche dato la sua ricostruzione dei fatti: “In questo momento, senza disporre ancora di informazioni ufficiali puntuali, l’ipotesi più probabile è che i primi due ostaggi italiani che purtroppo sono morti fossero oggetto in quel momento di un trasferimento da una prigione a un’altra e che su quel convoglio viaggiassero anche i capi sequestratori, ovvero la linea di comando dei rapitori. La notizia dell’uccisione dei probabili capi potrebbe quindi aver convinto gli altri carcerieri – è logico ipotizzare che alcuni fossero rimasti a controllare il primo covo – che ancora tenevano in ostaggio gli altri due italiani a darsela a gambe abbandonato Pollicardo e Calcagno, i quali, avendo capito che non c’era più nessuno a controllarli, hanno sfondato la porta e sono usciti dal covo, tornando liberi”. Quanto alle accuse della vedova di Salvatore Failla, per Stucchi, “ha ragione quando chiede che venga fatta massima chiarezza. Per quanto riguarda il lavoro dell’intelligence, posso dire che ha seguito questa vicenda con lo stesso impegno profuso in passato in altri casi delicati avvenuti in aree molto problematiche, e quindi simili a quest’ultimo, che fino ad ora si erano conclusi prevalentemente con esito positivo. Dire che l’intelligence non sapesse nulla di quanto stava accadendo e che non stesse operando per riportarli a casa vivi è sbagliato”.

L’ex ostaggio Calcagno: “Così io e Gino ci siamo liberati”
Ha lavorato alla serratura con un chiodo e poi ha chiesto a Gino di sfondare la porta. “Ho lavorato molto su quella porta”, ha spiegato Filippo Calcagno ai microfoni di RaiNews. “Ho capito che con un chiodo si possono fare tante cose. Ho lavorato sulla serratura, o meglio sulla parte dove la serratura si va ad incastrare nella porta. Era un legno duro però pian pianino, con la caparbietà, ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino, perché mi facevano male le dita da giorni e gli ho detto: ‘dai Gino vieni, se dai due colpi siamo fuori”. Calcagno ha detto che non era la prima volta che provavano a forzare la serratura: “Il giorno prima avevamo provato e gli avevo detto ‘Gino, mi dispiace, noi riusciamo a farlo’…invece poi. Quando si è aperta la porta l’altro dubbio era di trovare chiusa dall’esterno la porta che dava fuori, invece era aperta e fuori non c’era più nessuno”.  Calcagno ha detto di non voler dare troppi dettagli “perché c’è un’inchiesta in corso”: “Loro sono entrati dicendoci che era tutto finito”, ha detto. “Nei giorni precedenti ci avevano dato una tuta da mettere quando andavamo via. Ci hanno fatto vestire dicendo che tutto era finito e poi hanno preso Salvatore e Fausto e a noi ci hanno lasciati là dentro. Ci siamo chiesti come mai e la spiegazione che ci siamo dati era che forse non avevano posto. Mi è sembrata una scelta casuale”.

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