Difficile capire cosa influenzi le mode. Del resto, così non fosse, saremmo tutti in grado di anticiparle, le mode, o magari di dettarle. Sta di fatto che spesso ci sono meccanismi, equilibri, congiunture astrali, o più semplicemente influencer che stabiliscono che oggi sia di tendenza il giallo e domani il rosso. E tutti a seguire. Le mode, è noto, non sono solo quelle legate al mondo dell’abbigliamento, del look. Si può applicare il concetto di mode e di trend a tutto, dalla musica, pensiamo ai generi che sembrano imprescindibili in un determinato periodo e quasi ci fanno vergognare anche solo qualche mese dopo, al linguaggio, il cibo, tutto.
Veniamo a noi. Veniamo a oggi.

Il mondo contemporaneo, quello dei social network, altra moda che sembra però non passare, ha velocizzato tutto. Il metabolismo è come impazzito, nel giro di poche ore un argomento diventa fondamentale e poi stanca, viene superato, addirittura diventa ridicolo, da denigrare. Anche troppo comodo fare l’esempio recente di petaloso, che nel giro di mezza giornata è passato dal far intenerire chiunque a rendere lo stesso chiunque una versione 2.0 di Erode, pronto a dare alle fiamme il piccolo Matteo.

Un argomento che però da tempo sembra non voler abbandonare il campo mediatico sono le stepchild adoption. Come la faccenda degli uteri surrogati. Per non dire della teoria Gender, capace di allarmare i maggiormente sensibili come neanche l’Ebola. Tutti ne parlano, spesso a sproposito. Si parla di natura, di contronatura, di cosa sarebbe giusto o sbagliato, a partire da cosa è bene o cosa è male, a partire da principi etici e morali spesso frutto di discussioni da bar, più che da approfondimenti seri. Stiamo parlando del bar 2.0, quel non luogo dove chiunque ha diritto di parola, per dirla alla Eco, e dove a chiunque è possibile difendere il diritto delle coppie etero e gay di adottare i figli biologici dei propri compagni e il giorno seguente gridare alla mercificazione del corpo femminile messa in atto con l’utero in affitto.

Chiacchiere da bar, appunto. E proprio il bar è stato a lungo luogo principe delle chiacchierate sulla grande assente di quest’ultimo periodo: la figa. Da tanto tempo, infatti, sembra che proprio colei che un tempo veniva pudicamente indicata come “la natura”, l’origine del mondo, per dirla con Gustave Courbet, sia passata di moda. Non se ne parla più, non sembra più essere così ambita come un tempo, e ora, direbbe qualche polemista pret a porter, è stata sostituita da un qualche scienziato in laboratorio. Anche nell’immaginario comune sembra non essere più così centrale come un tempo, se ci pensate un attimo. Se un tempo Benigni faceva sbellicare milioni e milioni di telespettatori inanellando una serie infinita e spassosa di sinonimi, oggi preferisce parlare di Costituzione o del Paradiso. Anche il porno sembra preferire dedicarsi a altro perché, come ha detto con estremo dono della sintesi la pornostar Asa Akira, “il culo è la figa del duemila“. Tutto sembrerebbe remare contro la figa, forse per sovraesposizione negli anni passati, forse per quella sorta di paura insita nell’uomo generata da una certa emancipazione femminile, con l’ascesa dell’icona della donna rampante.

Ma proprio tutto questo cianciare da bar relativo a ciò che è secondo natura e contronatura, in relazione alle stepchild adoption e agli uteri surrogati, della teoria gender, potrebbe generare un revival della figa, di nuovo protagonista delle chiacchiere al pari del calcio e delle auto. Noi ve lo diciamo in anticipo sui tempi, tanto perché, per una volta, ci piace l’idea di essere fra quanti lanciano una moda, piuttosto che seguirla. Come si dice in questi casi, preparatevi al ritorno della figa, noi l’abbiamo provata per voi.

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