“Ho esposto in Cile, Argentina, Stati Uniti e Francia. Per l’Italia, invece, solo un’installazione a inizio carriera. Un tempo volevo tornare, ora questo pensiero non mi passa più per la testa”. Italia paese d’arte e d’artisti? Chiedetelo a David Scognamiglio, 35 anni, architetto e artista apprezzato e seguito in Cile da più di sei anni. Nato a Frosinone ma vissuto fin da piccolo a Bologna, David ha sempre sognato di fare l’artista, e andarsene dal Belpaese è stata una mossa fondamentale per raggiungere questo obiettivo. “Purtroppo in Italia si pensa che per un artista il semplice fatto di avere la possibilità di esporre sia un premio. Questo rende economicamente insostenibile la vita di chi fa arte”, racconta il giovane architetto dal suo appartamento a Santiago mentre fa colazione leggendo i giornali principali dei tre paesi della sua vita: Italia, Francia e Cile. Il primo, è l’adolescenza. Il secondo, la formazione professionale. Il terzo, la sua nuova patria. “In Cile sono molto soddisfatto perché ho realizzato il mio sogno di lavorare nell’ambito artistico realizzando installazioni e fotografie. Qui mancano solo cornetti e cappuccini all’italiana”.

Quando era ancora uno studente di architettura all’università di Firenze, per David andare via dall’Italia non era una fuga né una necessità lavorativa ma la risposta alla sua sete di nuove culture. Valigie pronte, quindi, per un Erasmus a Montpellier, e poi cinque anni a Tolosa, dove il 35enne ha preparato la tesi e ha iniziato a lavorare per vari studi di architettura. “Ricordo come al primo colloquio mi sia stato chiesto quali fossero le mie aspettative di retribuzione. Un po’ tentennante azzardai 8 euro l’ora anche se per me, che venivo dal paese della gavetta, degli stage a costo zero e delle pacche sulle spalle, mi sembrava una cifra un po’ pretenziosa”.

“Mi hanno chiesto quanto mi aspettavo di essere pagato. Ho detto 8 euro l’ora, anche se per me, che venivo dal paese degli stage a costo zero e delle pacche sulle spalle, mi sembrava una cifra un po’ pretenziosa”

Pochi giorni dopo, quello studio lo richiamò per affidargli l’incarico. Questo è stato l’inizio della sua carriera lavorativa all’estero. “A 29 anni ho tentato di tornare in Italia, ma è stato catastrofico. Mi ero abituato agli standard francesi e non mi capacitavo come fosse possibile avere una situazione così diversa in Italia”. A quel tempo, sul curriculum vitae di David comparivano quattro anni di esperienza in studi di architettura, eppure “continuavano a propormi solo stage gratis”. Ecco un nuovo punto di svolta per David, che per la prima volta si trova di fronte alla necessità di andare via dall’Italia. La scelta è caduta sul Cile, paese abbastanza noto nell’ambito dell’architettura, “tanto da avere un flusso costante di giovani architetti stranieri in arrivo”.

L’accoglienza cilena, però, non è stata delle più idilliache. A poche settimane dal suo arrivo, infatti, il paese sudamericano – che è tra le zone più sismiche del pianeta – è stato colpito da un terremoto che ha fatto oltre 500 morti e 25 desaparecidos. Tanto che la prima offerta di lavoro ricevuta da David è stata proprio quella di andare a lavorare nelle zone terremotate per progettare un quartiere di case temporanee. “Se facciamo un paragone, non riesco a immaginare un architetto straniero appena arrivato in Italia a cui viene offerto un contratto per costruire un complesso di ottanta case a L’Aquila. E ci tengo a precisare che non ero volontario, ma capo progetto con uno stipendio di 1.400 euro al mese”. Un’esperienza che gli ha fatto notare come motivazione e scoperta fossero tra i due ingredienti più stimolanti in un paese ancora in crescita come il Cile. “Qui c’è ancora voglia di realizzare nuove idee. In Italia il livello di corruzione non mi ha certo invogliato a restare”.

“In Cile c’è ancora voglia di realizzare nuove idee. In Italia il livello di corruzione non mi ha certo invogliato a restare”

Ora David lavora come libero professionista tra progetti di architettura e installazioni artistiche “grazie all’effervescenza culturale cilena e a vari concorsi pubblici nei quali sono stato selezionato”. Infatti, quando si è un artista emergente, uno dei canali più interessanti per esporre sono proprio quegli stessi concorsi “che in Italia non sono molto numerosi”. Questo, tra i motivi che l’ha portato a giocare le sue carte altrove. E come lui “molti giovani professionisti, anche italiani” che “a causa della crisi economica hanno scelto di trasferirsi in Cile”. Come biasimarli, visto che nel paese sudamericano “un giovane architetto guadagna sui mille euro al mese”. Uno stipendio del tutto rispettabile visto che “anche se il costo della vita non è più basso che in Italia, gli affitti sono decisamente inferiori”.

Dopo la lettura mattutina dei giornali, il 35enne inizia la sua attività in un mix tra progettazione, fabbricazione di prototipi e riunioni. Poi, la sera, la giornata prosegue seguendo il programma della metropoli, tra vernissage di colleghi e uscire con amici. Scavando oltre l’apparenza, “migrare è una decisione difficile. Tutti dovrebbero farlo almeno una volta, per provare cosa vuol dire essere straniero e capire l’umanità dietro ogni immigrato”. La sua vita in una parola? “Semplicità. Mi muovo in bicicletta, condivido l’appartamento e compro vestiti solo quando ne ho realmente bisogno. Ma posso pagarmi le mozzarelle di bufala, che qui sono davvero molto rare”.

“Migrare è una decisione difficile. Tutti dovrebbero farlo almeno una volta, per provare cosa vuol dire essere straniero”

Nei prossimi mesi il giovane architetto sarà impegnato in un’esposizione nella sua galleria di Santiago e in una residenza d’arte a San Paolo in Brasile. Da settembre, poi, tornerà per qualche tempo a Parigi (dove ha già partecipato alla Nuit Blanche) per lanciare una linea di lanterne portatili ispirate all’attività mineraria cilena. “Per i miei genitori sarebbe molto più bello avermi vicino, ma sento che credono in quello che faccio. Per me hanno anche imparato a usare Skype e WhatsApp. A volte penso che abbiamo una relazione più profonda e matura di molte altre famiglie che vivono nello stesso quartiere”.

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