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Master of Puppets, il capolavoro heavy metal dei Metallica compie 30 anni

Otto tracce: un mix di potenza, velocità e melodia che ha consacrato la band californiana a livello internazionale. Ma il disco è anche legato alla morte dello storico bassista Cliff Burton, morto durante il tour promozionale dell’album nel 1986

di Jacopo Salvadori

Master of Puppets, il capolavoro dei Metallica, compie 30 anni. Otto tracce, 55 minuti, un mix di potenza e velocità ma anche di melodia. Un album che racchiude tutta la rabbia del movimento heavy metal che si è sviluppato nella prima metà degli anni ‘80 nella Bay Area californiana, chiamato poi thrash metal. Probabilmente si tratta proprio del disco-icona dell’hard ‘n’ heavy, visto che la critica specializzata lo definisce il miglior album dei Metallica, mentre una cerchia più ristretta di esperti lo considera addirittura l’opera heavy metal più riuscita nella storia della musica. È un disco che, nonostante i 30 anni, riesce ancora a stupire. Anche chi lo ha scritto e suonato. “Quando ascolto Master of Puppets oggi, penso: ‘Ma che cazzo? Come abbiamo fatto?’ – racconta il batterista dei Metallica Lars Ulrich a Rolling Stone – È una musica grintosissima”.

Grazie a Master of Puppets, i Metallica riescono a raggiungere la fama internazionale. I numeri parlano chiaro: sei volte disco di platino negli Stati Uniti con 6 milioni di copie vendute (primo album della band a superare le 500mila copie vendute) e posizione numero 29 nella Billboard 200 (la classifica dei 200 nuovi album ed Ep più venduti negli Stati Uniti, pubblicata ogni settimana dalla rivista Billboard). Crescono anche gli spettatori ai concerti dal vivo. Ma non solo. Con la loro terza fatica, i four horsemen guadagnano autorevolezza nell’ambiente heavy metal, dando una grandissima visibilità al movimento thrash metal.

L’album si apre con i riff veloci e taglienti di Battery, uno dei pezzi più suonati dal vivo dai Metallica insieme alla traccia numero due, Master of Puppets, che dà il nome al disco. Relativamente più calma Welcome Home (Sanitarium), canzone ispirata dal film Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman. Ma il pezzo più importante dell’album è Orion, canzone strumentale di otto minuti e mezzo, considerata il testamento musicale di Cliff Burton, il bassista dei Metallica morto durante il tour promozionale dell’album nel 1986.

metallica

Era il 26 settembre e dopo la data di Stoccolma, la band californiana stava viaggiando sul proprio bus verso la tappa successiva. Ma a un certo punto, l’autista perse il controllo del mezzo, forse per colpa di una lastra di ghiaccio sull’asfalto, e si ribaltò. Dalle lamiere del bus uscirono prima il guidatore, poi il cantante James Hetfield e il chitarrista Kirk Hammett. Infine Ulrich. Nessuna traccia di Burton. La band si spostò sul retro del bus e lo trovò. “Vidi l’autobus sopra di lui. Vidi le sue gambe spuntare fuori. Crollai – racconta Hetfield – L’autista, ricordo, stava tentando di dare uno strattone alla coperta posta sotto il suo corpo per usarla per le altre persone. Dissi soltanto ‘Non farlo, cazzo!’. Volevo uccidere quell’uomo. Non so se fosse ubriaco o se passò sul ghiaccio. Tutto quello che sapevo fu che stava guidando e che Cliff non era più con noi”.

Impietrito Hammett che qualche ora prima dell’incidente, prima di partire, si era giocato a carte il posto letto dell’autobus proprio con Burton. Perse e il bassista si conquistò il posto più prestigioso, quello vicino al finestrino. L’8 febbraio 1987, Hammett rilasciò un’intervista sul futuro della band: “Poco dopo l’incidente, decidemmo che il modo migliore per dare sfogo alle nostre frustrazioni fosse di ritornare a suonare e di sfogare le nostre ansie sul palco, dove dovrebbero andare. Ognuno di noi pensò che dovevamo continuare, dovevamo lavorare perché non sarebbe stato giusto verso Cliff fermarci. Avrebbe voluto che noi continuassimo”. E continuarono. Al posto di Burton, subentrò James Newsted e nel 1988 uscì And Justice for All, quarto album dei Metallica che si discosta molto dai primi tre lavori della band: è un album molto più tecnico di Master of Puppets e per certi versi anche più “freddo”, tanto che la critica musicale lo ha spesso definito un precursore del progressive metal.

Se lo stile è cambiato, c’è qualcosa, invece, che è rimasta invariata: la passione dei Metallica per il premio oscar Ennio Morricone. Una passione che diventa tributo. Dal 1983, infatti, la band di San Francisco apre tutti i suoi concerti con con una versione rivisitata de L’estasi dell’oro, colonna sonora scritta da Morricone per il film Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone. I Metallica, nel 1991, hanno composto The Unforgiven, canzone contenuta nell’album Metallica, più conosciuto come The Black Album. Nell’introduzione, la parte della batteria è tratta dalla colonna sonora di un film western che la band californiana non ha mai svelato. Proprio per mantenere il mistero, il breve attacco è riprodotto al contrario. Che sia proprio L’estasi dell’oro di Morricone?

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