Se la upper middle class risiede nella cattività delle gated communities, la più parte dell’”esercito industriale di riserva”, descritto al post precedente, vive nella libertà degli slums (o “baraccopoli”, che dir si voglia). Questi hanno un grande pregio, sono molto discreti: è assai difficile che giungano allo sguardo del turista, dell’uomo d’affari straniero di passaggio o del viandante distratto. Tuttavia esistono – segregata vergogna di ogni Stato minimo – e sono quanto di più simile all’inferno si possa trovare su questa terra.

E’ difficile, arrivare a concepire in che modo centinaia di migliaia di persone possano vivere in aree alquanto limitate, prive di qualsivoglia servizio, stipate di catapecchie fatte di plastica, lamiera e cartone (con qualche piccola isola in muratura, qua e là), tra le quali si diramano polverosi viottoli in terra battuta (che, diventano fangosi ruscelli alla prima pioggia), nauseabondi rigagnoli che prendono il posto degli assenti impianti fognari e la ossessiva presenza di rifiuti in ogni spazio. Questi luoghi pullulano di un’umanità derelitta, ivi naufragata dopo essere stata attirata dalle campagne alla metropoli, dall’illusione di un Eldorado inesistente. Quest’umanità “superflua” (dal punto di vista economico) costituisce l’ inesauribile “esercito di riserva” di cui sopra, che è indispensabile per la “deflazione salariale”, non solo delle attività servili (detto in senso descrittivo, senza dispregio alcuno), ma anche di qualsivoglia attività produttiva.

Naturalmente, dalla descrizione precedente, si può facilmente evincere che le condizioni igienico-sanitarie siano spaventose: come abbiamo già detto, gli impianti fognari sono assenti, manca l’acqua potabile, l’ aria è pregna del soffocante fumo di rifiuti che bruciano o di quello nauseabondo di materia organica in putrefazione. Le le persone vivono stipate come tacchini negli allevamenti industriali, senza che, però, qui vi siano i controlli sanitari ai quali questi sono sottoposti. Ma, contrariamente ai poveri, i tacchini producono profitto…

Ovviamente la criminalità è elevatissima (e, in questo caso non si può neppure parlare di “giustizia distributiva con altri mezzi”), di conseguenza, questi territori sono teatro di soprusi di ogni genere. Prosperano le gang di piccoli malfattori e le mafiette vernacolari di ogni genere, che taglieggiano i più deboli, cercando di estrarre loro le scarse gocce di valore di scambio di cui dispongono. I terreni e le catapecchie sono, in genere, di proprietà di alcuni “landlords” (proprietari/locatori) che vessano questa povera umanità con affitti esosi ( per le scarse capacità contributive di quei poveretti) e che, come si può facilmente intendere, non si rivolgono all’avvocato, in caso di morosità, ma a tipi assai meno raccomandabili che non esitano a sbattere in mezzo alla strada (se va bene) i malcapitati “inquilini” che non sono in regola coi pagamenti.

Negli slums, chiaramente, non mancano tutti i simpatici “effetti collaterali” che si accompagnano alla povertà diffusa: prostituzione, alcolismo, droga. Ogni liberista che si rispetti non può che ammirare queste compiute realizzazioni dello Stato minimo (quando lo Stato è povero è, giocoforza, minimo): bambini glue-sniffer, donne che frugano nei rifiuti, prostitute minorenni sieropositive che si vendono a pochi scellini. E’ il mercato, bellezza! The Market unleashed. La scomparsa del “diaframma di protezione che attenua la durezza del vivere”, auspicata dal defunto bamboccione che rampollo, modestamente, lo nacque; il quale si trovava perfettamente in sintonia con Jeremy Bentham, che ammoniva: “sarà comunque bene guardarsi dalle interferenze della legge, nell’assistenza ai poveri, perché la legge che offre assistenza alla povertà […] è una legge contro l’industria. La spinta al lavoro e all’economia è la pressione del presente e la paura per il futuro; la legge che cancella questa pressione e questa paura, incoraggia all’ inerzia e alla dissipazione”.

In questo mercato perfetto si manifesta compiutamente il “darwinismo sociale” che, a questi livelli di perfezione, coincide col darwinismo naturale (l’oikonomia come manifestazione della provvidenza del Deus absconditus di Calvino) e, in questo contesto, agiscono egregiamente alcuni esserini che, pur essendo minuscoli, sono predatori assai efficienti (anche meglio dei liberisti della savana) e prosperano in maniera eccelsa in questa bolgia terrena. Sono i microorganismi patogeni: vibrioni, salmonelle, treponema pallidum, mycobacterium tuberculosis, papilloma virus, HIV, i vari virus dell’epatite, per menzionarne solo alcuni, senza dimenticare l’onnipresente plasmodium falciparum (agente eziologico della più grave forma di Malaria).

L’assenza di igiene e la promiscuità sono quello Stato minimo che promuove il laissez faire di questi piccoli ma efficienti attori del mercato, che non si nutrono della «materia di cui sono fatti i sogni», ma della materia di cui siamo fatti noi, ovvero di quegli sfortunati, tra noi, che vivono in un mercato perfetto, senza il famoso “diaframma di protezione”. D’altra parte, per i germi, l’assenza dell’interferenza dello Stato (sotto forma di servizi igienico-sanitari) nei confronti del loro libero mercato, è una manna dal cielo.

Per gli esseri umani un po’ meno, perché, parafrasando Adam Smith: “Non è dalla benevolenza del vibrione, del treponema o del micobatterio che noi ci possiamo aspettare la nostra sopravvivenza, nè, tantomeno dal loro riguardo per propri interessi. E’ inutile quindi rivolgersi sia alla loro umanità che al loro egoismo, o parlare ad essi delle nostre necessità, perché queste non coincidono coi loro vantaggi”.

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