“Lo stato islamico è a tutti gli effetti uno stato mafioso, ne ha tutte le caratteristiche”. Lo ha affermato il Procuratore nazionale antimafia e terrorismo, Franco Roberti, presentando la relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, la prima che tratta anche le nuove competenze antiterrorismo assegnate all’organismo. “Lo stato islamico è al tempo stesso uno stato-mafia, una organizzazione mafiosa transnazionale”, in quanto si avvale “di organizzazioni esterne, dal contrabbando al traffico di stupefacenti“, ha spiegato Roberti. Nonché, naturalmente, “un’associazione terroristica internazionale”. Nella relazione della Dna si legge fra l’altro: “Dai più recenti sviluppi delle attività pre-investigative svolte da questo Ufficio in tema di terrorismo riconducibile all’Isis, sotto il profilo finanziario sono emerse rilevanti connessioni fra cellule terroristiche operanti in Europa e trafficanti di stupefacenti”.

Dalla droga ai migranti alle opere d’arte: i traffici dell’Is. Le indagini sugli “aspiranti martiri” italiani, spiega la relazione “confermano l’intreccio tra criminalità organizzata di tipo mafioso e terrorismo internazionale”. Anzi, “più che un intreccio, una totale compenetrazione”. A differenza delle altre formazioni terroristiche internazionali,infatti, “l’Is è una associazione criminale che si è fatta Stato, con un territorio controllato (tra Siria e Iraq, con insediamenti in Libia), una popolazione, un ordinamento giuridico e una organizzione amministrativa”. Ma allo stesso tempo, continua la relazione, “è uno Stato-mafia, perché, assieme al radicalismo ideologico e alla violenza terroristica, esprime anche imprenditorialità criminale e dominio territoriale con proiezioni transnazionali: i connotati essenziali e tipici delle associazioni di tipo mafioso”. Il documento ricorda le stime secondo le quali lo Stato islamico incassa circa tre miliardi di dollari l’anno con attività criminali, citate anche nelle relazioni dell’Onu: “Traffici di stupefacenti, contrabbando di petroli e di opere d’arte, traffici di armi, contrabbando di tabacchi, traffici di migranti, estorsioni e sequestri di persona, corruzione e riciclaggio dei proventi illeciti”. Attività criminali che, osserva la Dna, “necessitano di una vasta rete relazionale di complicità esterne all’associazione terroristico-mafiosa”, comprese le connessioni “con l’economia legale”.

“Corruzione? Un ramo del potere mafioso”. Tornando alle questioni interne, il capo della Procura antimafia propone di “inserire la corruzione come aggravante dell’associazione mafiosa, nell’articolo 416bis“. La corruzione, dice Roberti, “è un delitto gravissimo contro l’economia. Quando si incrocia con la criminalità organizzata diventa un altro ramo del potere mafioso”, che offre “la garanzia dovuta per il suo aspetto violento”. Quando si dimostri che l’associazione mafiosa è capace di condizionare le scelte della pubblica amministrazione e c’è stata corruzione, ha chiarito, “questa deve essere un’aggravante. Soprattutto quando, come dimostra l’inchiesta su Mafia Capitale, la corruzione è capace di infuenzare le scelte dei funzionari”.

La proposta del magistrato si lega alla lettura natura delle organizzazioni mafiose, che non è riconducibile soltanto a quella di gruppi criminali votati all’arricchimento di boss e picciotti, si legge nel rapporto sullattività 2015. “La finalità caratterizzante delle mafie risiede in qualcosa d’altro, che, più che riguardare il loro rapporto con il denaro o i loro rapporti interni, riguarda la relazione che le mafie hanno con la società circostante”. Il contrasto alle mafie, ha proseguito, “deve diventare una priorità dello Stato, se dobbiamo convivere con le mafie rassegniamoci a questo, ma noi non ci rassegniamo. Abbiamo i margini per poterla contrastare”.

“‘Ndrangheta in Lombardia grazie a borghesia mafiosa”. Le novità più rilevante sul fronte della mafie nostrane, ha sottolineato Roberti, riguarda ancora “l’insediamento delle mafie al nord: in Lombardia, in Piemonte, in Emilia Romagna. In altri casi parliamo per fortuna di infiltrazioni, non di insediamenti veri e propri, senza quella partecipazione che viene dai rapporti con le società civili. Per fortuna la forza di queste organizzazioni non ha trovato la relazione di cui aveva bisogno”.

La relazione si addentra poi nelle cause del “radicamento” delle mafie in determinate aree del nord.  Tra le condizioni di contesto che hanno consentito il radicamento della ‘ndrangheta in Lombardia “vi è la disponibilità del mondo imprenditoriale, politico e delle professioni (cioè il cosiddetto capitale sociale della ‘ndrangheta) a entrare in rapporti di reciproca convenienza con l’organizzazione”. Per la Direzione nazionale antimafia, “tali rapporti si possono ricondurre alla nozione di ‘amicizia strumentale’ caratterizzata da scambio di risorse tra ‘gli amici’, continuità nello scambio e dalla natura aperta di tale amicizia, nel senso che ciascuno di loro agisce come ‘ponte’ per altri ‘amiciì”. Le indagini hanno quasi sempre riscontrato la presenza di figure “riconducibili al paradigma della ‘borghesia mafiosa‘, canali di collegamento tra la società civile e la ‘ndrangheta e nessuna categoria professionale è esente da questa considerazione: forze di polizia, magistrati, avvocati, imprenditori, medici, appartenenti a livelli apicali della pubblica amministrazione, politici”.

E se la Lombardia ha una lunga tradizione in fatto di inchiesta antimafia – con maxi processi a Milano e non solo già negli anni Novanta – diverso èstato l’impatto dell’inchiesta Aemilia condotta dalla Dda di Bologna. La ricostruzione dei rapporti politica-impresa-istituzioni-‘ndrangheta è stata “in grado di stravolgere la reputazione di quella che, ormai, potremmo dire, una volta, era orgogliosamente indicata come una Regione-modello, e invidiata per l’elevato livello medio di vita dei suoi abitanti”.

Camorra, 23 omicidi in un anno. Tra le principali organizzazioni nostrane, “la camorra ancora presenta profili omicidiari preoccupantissimi: mentre altrove la statistica degli omicidi è precipitata, per la camorra non è così”, ha affermato Roberti, magistrato in trincea contro la criminalità campana prima di approdare alla guida della Dna. “Ma l’avere assicurato alla giustizia i grandi capi ha creato vuoti di potere che ora giovani e giovanissimi senza alcun freno cercano di occupare. E’ un problema di ordine pubblico”.

Tra il primo luglio 2014 e il 30 giugno 2015 sono stati 45 in tutto gli omicidi e i tentati omicidi di matrice camorristica. In particolare, rende noto la relazione della Dna, gli omicidi sono stati 22 e i tentati omicidi 23. I numeri più elevati hanno riguardato “le aggregazioni camorristiche del centro storico; significativo anche il dato numerico relativo agli omicidi collegati ai clan dell’area occidentale, dei comuni a nord della città di Napoli e dell’area orientale”.

La relazione sottolinea i crescenti collegamenti internazionali della camorra, in particolare con “narcotrafficanti di nazionalità spagnola“.

La Direzione nazionale antimafia sottolinea la “centralità” dei collaboratori di giustizia nel contrasto alle mafie. Sempre sul fronte della camorra, tra il 2014 e il 2015 sono state avviate attività con 44 nuovi collaboratori.

Cosa nostra: “Tentativo di ricostituire la Cupola”. E Cosa nostra? “Le indagini dimostrano il continuo e costante tentativo di ristrutturare e fare risorgere le strutture centrali di governo dell’organizzazione criminale, in particolare la commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo, quale indispensabile organo di direzione dell’intera organizzazione mafiosa”, scrive la Dna. “La città di Palermo è e rimane il luogo in cui l’organizzazione criminale esprime al massimo la propria vitalità sia sul piano decisionale (soprattutto) sia sul piano operativo”.

A tenere in vita Cosa nostra è soprattutto il “rispetto delle regole” sia sotto il profilo delle affiliazioni dei nuovi componenti, che di quelle che regolano la gestione dei territori.  “Le indagini – prosegue la Dna – confermano anche la costante fibrillazione dell’organizzazione che oggettivamente versa in una situazione di crisi. Va segnalato che l’assenza, in Cosa Nostra palermitana, di personaggi di particolare carisma criminale in libertà, non ha riproposto la violenta contrapposizione interna tra famiglie e mandamenti del passato. Allo stato deve piuttosto registrarsi una cooperazione di tipo orizzontale tra le famiglie mafiose della città di Palermo, volta a garantire la continuità della vita dell’organizzazione ed i suoi affari. Tra questi in particolare devono segnalarsi un rinnovato interesse per il traffico di stupefacenti e per la gestione dei ‘giochi’, sia di natura legale che illegale“.

“Droga, affare da 35 miliardi di euro in Italia”. La droga è uno dei principali terreni di scontro tra i clan di camorra e un tradizionale business di tutte le mafie italiane. “Un problema planetario, con 250 milioni di consumatori nel mondo, un europeo su 4 si droga, un giro d’affari di 560 miliardi di dollari, 35 miliardi di euro solo in Italia”, ha affermato Roberti. Poco meno dell’intero settore manifatturiero nazionale, che vale 45 miliardi, “ma i soldi della droga sono esentasse e poi vanno a riversarsi nel mercato legale”. Secondo Roberti bisogna “intensificare le risorse investigative sui grandi trafficanti, non sui ladri di merendine come chiamiamo i piccoli spacciatori”. Infine, Roberti chiarisce che “nessuno ha mai parlato di depenalizzazione”.

“Sono in aumento i sequestri di cannabis, mentre sono in flessione quelli della cocaina”, ha affermato ancora Roberti. “Questo vuol dire che è aumentata la circolazione di cannabis in Italia, visto che i sequestri intercettano circa il 10% della droga circolante”.

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