La guida della coalizione e un centro di coordinamento a Roma. L’Italia è pronta a mettersi alla testa della missione internazionale che interverrà in Libia e il livello di pianificazione delle operazioni “è a un livello molto avanzato“. Lo scrive il Wall Street Journal citando fonti Usa. Ma prima di qualsiasi azione, è il paletto dell’Italia, bisogna attendere che nel Paese nordafricano si formi un governo di unità nazionale che abbia l’autorità di richiedere l’intervento.

Il giorno dopo ‘l’investiturà del Pentagono sul “ruolo guida” di Roma, il premier Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni non si nascondono, mentre le opposizioni chiedono che il governo riferisca al più presto in Parlamento. “L’Italia è un Paese guida su questo dossier, ma la priorità è formare un governo in Libia”, ha sottolineato il premier al Tg1. “Abbiamo rapporti molto solidi con gli Usa, sono i nostri principali alleati, e con loro condividiamo il giudizio che prima di una missione vadano fatti tutti i tentativi per formare un governo. Abbiamo visto cosa è accaduto quando i francesi e gli inglesi sono intervenuti senza un quadro di governo stabile”, ha aggiunto Renzi ricordando l’intervento contro Muammar Gheddafi nel 2011.

Analoghe le parole del titolare della Farnesina. “La situazione è abbastanza chiara e le ultime affermazioni del segretario alla Difesa americano Ash Carter sono chiare”, ha detto a New York, dove domani l’inviato speciale dell’Onu sulla Libia Martin Kobler riferirà al Consiglio di sicurezza. “L’azione è urgente ma l’illusione di interventi senza prospettive di medio e lungo periodo l’abbiamo già coltivata. Dobbiamo quindi evitare gli errori del passato e le fughe in avanti”, ha ammonito il ministro degli Esteri, secondo il quale la minaccia jihadista in Libia “non giustifica spedizioni nel deserto”.

Ad ogni modo i militari Usa e gli alleati, inclusi Francia e Gran Bretagna, “hanno creato un Centro di coordinamento della Coalizione a Roma” e “da mesi” preparano un piano per un secondo intervento in Libia, ha rivelato il generale Donald Bolduc, comandante delle Forze speciali Usa in Africa, citato dal Wall Street Journal.

Londra e Berlino hanno intanto deciso di spedire propri soldati in Tunisia per contribuire al controllo della frontiera con la Libia e addestrare militari libici in chiave anti-Isis. Un’attività che le forze speciali francesi, britanniche e statunitensi già fanno in Libia, a Bengasi e Misurata, assicurano da giorni numerose fonti, anche occidentali, senza che ci siano conferme ufficiali dalle cancellerie europee o da Washington. Secondo altre testimonianze, militari stranieri sarebbero già presenti anche a Tripoli.

Ma gli occhi della comunità internazionale sono puntati soprattutto su Tobruk, dove ancora non è stata data luce verde al governo di unità nazionale presieduto da Fayez Al Sarraj, al quale si oppongono diversi attori, tra i quali soprattutto il generale Khalifa Haftar, grande protetto dell’Egitto.

L’autorevole quotidiano egiziano Al Ahram, citando sue fonti, afferma che al Cairo “sono in corso negoziati informali” tra le parti libiche per arrivare a una intesa di mediazione “che porti alla nascita di un consiglio presidenziale guidato da Sarraj, due vicepresidenti e due ministri di Stato affiancati dal ministro della Difesa”, in rappresentanza delle istanze regionali e politiche libiche. In questo quadro, afferma il quotidiano, “Haftar resterà a capo dell’Esercito, ma senza incarico nel governo”.

Il generale è però costretto a digerire il mancato annuncio della vittoria a Bengasi, che sarebbe dovuto arrivare in queste ore. Nella città, dicono le milizie filo-jihadiste, “si combatte ancora”, mentre le posizioni dell’Isis in alcune aree periferiche sarebbe stata rafforzata dall’arrivo di altri combattenti, in maggior parte stranieri e veterani del teatro di guerra in Siria e in Iraq.

Mosca intanto ammonisce: in Libia c’è “il pericolo crescente” che i seguaci di Abu Bakr Al Baghdadi possano ricorrere all’uso di armi chimiche, è l’allarme del ministro degli Esteri Serghiei Lavrov. E potrebbero tentare di mettere le mani sulle 700 tonnellate di agenti chimici che l’Opac stima si trovino ancora nel Paese nordafricano.

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