Il coraggioso intervento del senatore a vita Elena Cattaneo in tema di polo della scienza nell’area dell’Expo, definito “un grande spot fondato sull’improvvisazione”, avrà probabilmente l’effetto di una grida manzoniana. Ancorché tutto ciò che afferma sia lapalissiano, del tutto evidente ai ricercatori appassionati e dediti a fare il proprio lavoro; e non a ostacolare quello degli altri.

Elena Cattaneo è una scienziata vera, verificabile nelle classifiche internazionali, a differenza della folla che da quasi vent’anni controlla il sistema italiano dell’alta formazione e della ricerca. E lo controlla per un insieme di fattori che non sono imputabili soltanto alla responsabilità politica, ma anche a indifferenza e sciatteria degli stessi ricercatori appassionati ma disaccorti, che hanno trascurato il tema della gestione democratica della ricerca e della formazione.

La politica italiana tratta la ricerca e la formazione come un inutile fastidio. Ha prima facilitato e poi assimilato la scelta del “mercato” che non prevede una significativa presenza dell’Italia in questo comparto, nel quadro di una divisione geografica del lavoro e delle vocazioni economiche e culturali che ci esclude di fatto. E non è un caso che le intelligenze scientifiche, anche italiane, siano indirizzate altrove da anni; e le ignoranze da noi.

È noto come i politici apprezzino esclusivamente coloro che si mettono in fila, resistono ad assidue umiliazioni e introiettano una figura accademica serva del potere, qualunque esso sia. Una figura accademica non affatto impopolare all’interno della “casta” stessa, se soltanto 18 professori italiani rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo. Insomma, l’accademia italiana non si segnala per indipendenza e coraggio; e gli scienziati e i tecnologi non si distinguono a loro volta per anticonformismo, se soltanto 3 furono i docenti riottosi dell’area scientifica (un chimico, un matematico e un chirurgo). Nessuno dell’area tecnologica. Una spiegazione antropologica per spiegare la corale di autorevoli consensi al “petaloso” Human Techcnopole? Il premuroso consenso con cui parecchi accademici hanno salutato il progetto, magari contrattando sottobanco qualche beneficio, senza che nessuno abbia interpellato gli scienziati italiani usando gli elenchi di Google Scholar sul web.

Dell’operazione post-Expo la senatrice coglie anche un aspetto meno evidente, almeno per uno scienziato esperto di cellule staminali ma probabilmente digiuno di urbanistica. Cattaneo afferma che “per pianificare l’investimento decennale di un miliardo e mezzo di risorse pubbliche è bastata l’urgenza di mettere una ‘toppa glamour’ al dopo Expo”. Invero, la toppa è solo un cerottino che copre una minuscola porzione della piaga. Ma rende bene l’idea e suggerisce che, anziché parlare di “petaloso”, potremmo associare i concetti di urgente e glamour parlando di “Bertolaso” Human Techcnopole. Senza vergognarci di introdurre un altro neologismo nella nostra lingua, un po’ ammaccata dall’invadenza del globish.

Non è una novità che il mattone accademico titilli le aspirazioni chi governa gli atenei. L’Italia è piena di esempi della combinazione infausta tra l’interesse fondiario di privati e para-privati, spalleggiati da robusti appetiti politici e dalla finanza creativa, da un lato; e le velleità muratorie dei condottieri accademici, dall’altro. A spese dei ricercatori appassionati ma disaccorti che, tra i flutti della competizione globale, si ostinano a mantenere a galla un sistema italiano della formazione e della ricerca che viene bombardato dall’esterno e minato dal suo stesso interno.

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