Se penso bene a quel che starei per scrivere temo che potrei essere classificato come vicino al delirio. Perché, mettiamola come si vuole, un uomo solo non può – non dico stendere, per carità – neppure accingersi ad affrontare di striscio tale progetto. Ma per pura combinazione, mentre arzigogolavo con i miei pensieri, mi è arrivata una mail che definire interessante è dir poco. La mail aveva nome e cognome. Recava un cellulare. Chiamai la persona mittente e le chiesi – di botto – se mi avrebbe autorizzato a pubblicarla. Persona gentilissima., l’ing. Vittorio Berti ha acconsentito.

Ecco la mail.

Gentile sig. Brianza,
leggo da qualche tempo con interesse i suoi articoli sul Fatto Quotidiano sulla mancanza di politica industriale in Italia e le sue riflessioni in merito. Io sono un piccolo imprenditore che crede ancora in questo Paese.
Sono un ingegnere elettronico laureato nel 1987 e dopo anni di lavoro come dipendente sono diventato, mio malgrado e per fortuna, prima un consulente e poi imprenditore. Negli ultimi anni ho aperto, con alcuni soci, tre nuove società, una di consulenza nel settore delle telecomunicazioni e informatica di cui sono anche amministratore, una nel settore dei droni e della tecnologia per
l’agricoltura di precisione, e una per l’utilizzo di tale tecnologia nel campo della produzione agricola. Quasi quasi non ci credo che Lei non parli di euro, spread, bancheborsa, finanza, ecc…. ma solo di politica industriale. Che è esattamente quello che manca a questo paese da decenni in cui tutti sono diventati finanzieri, e i finanzieri si sono improvvisati industriali, e i danni creati sono evidenti. Ci si riempie la bocca di euro si e euro no, spread, debito pubblico e privato. Ma di pensare che  l’economia è fatta di aziende e uomini capaci, e di strumenti che li mettano in grado di cooperare e crescere facendo sistema, non accade mai.
Meglio dire che è tutta colpa dell’euro e dell’Europa, o del debito pubblico o del debito privato, o dello spread, o della corruzione, ecc…
Vero, sono tutte cose importanti, molte delle quali ci hanno sempre oppressi. Ma la questione fondamentale è che lo Stato non si è più occupato delle imprese o perlomeno le ha messe in secondo piano. Eppure è l’impresa che crea lavoro e ricchezza, ed è un bene di tutti, non solo dell’imprenditore che ci ha investito i soldi. L’imprenditore deve essere formato, periodicamente, in modo da poter conoscere i sistemi più moderni ed evoluti. L’imprenditore deve essere supportato nella fase di creazione e crescita  della sua azienda, fornendogli strumenti per poter svolgere il suo lavoro nel modo migliore. L’imprenditore deve essere supportato nella fase di ricerca di nuove tecnologie e nuovi sistemi di produzione, in stretta connessione con il mondo accademico. L’imprenditore deve essere aiutato nella fase di vendita, permettendogli di entrare in mercati nuovi e tenendolo al corrente sulla evoluzione dei mercati in cui opera. L’imprenditore non può essere oppresso dalla burocrazia, una zavorra enorme che spesso scoraggia anche i più intraprendenti. L’imprenditore non può pagare più tasse dei propri concorrenti degli altri paesi, altrimenti rischia di perdere la competizione. L’imprenditore non può non essere pagato nei tempi previsti. E il rientro dai crediti non può durare anni se non decenni Eppure questi punti raramente entrano nel dibattito politico. Si preferisce litigare per euro si o euro no, senza considerare che puoi fare tutto quello che vuoi con la moneta, ma se il tuo sistema industriale non funziona a dovere prima o poi ti impoverisci. Magari ci metti solo di più. In tutta questa giungla di esperti economici, Lei è una voce fuori dal coro. Piuttosto solitaria purtroppo. E io concordo con Lei. Per fare ripartire la nostra industria la prima cosa da fare è una seria politica industriale. Dopo si può anche discutere di moneta, Europa, spread, ecc… Le faccio quindi i miei complimenti per il suo lavoro di mettere in evidenza le reali criticità dell’economia italia, sperando che qualcuno la ascolti.
Con Stima,
Vittorio Berti

Devo dire che dopo quasi tre mesi che cercavo di scrivere in una certa direzione, e dopo tre mesi nei quali le risposte erano per lo più espressioni di ‘cahiers de doléances’, sfoghi di persone sul deluso/arrabbiato, ma troppo spesso orientate là dove punta l’analisi comune, stereotipa se non becera, questa lettera mi ha davvero rincuorato.
Viene dal Piemonte: grazie ing.Berti.

 

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