È il simbolo della fallibilità della natura umana e a volte ha saputo cambiare l’intero corso della storia. È una parola di tre sillabe, tre vocali e tre consonanti, che però può racchiudere un’infinità di sfumature, e non c’è ambito della conoscenza che sia al riparo dalla sua inevitabilità. È l’errore, celebrato e consacrato dall’Error Day, il primo festival mondiale dedicato, appunto, a raccontare e riflettere su inesattezze, falli, abbagli, imprecisioni e malintesi, che quest’anno torna a Bologna, il 28 e il 29 febbraio, per la sua terza edizione, la prima a cadere in un anno bisestile. “E’ un’edizione speciale, quella del 2016 – racconta Clelia Sedda, organizzatrice della manifestazione – e per festeggiare in grande stile, abbiamo scelto un tema particolare”. Il rapporto cioè, tra errore e potere, che può essere declinato come l’errore del potere, o il potere dell’errore.

Simbolo di questa interconnessione dalle innumerevoli conseguenze avrebbe dovuto essere il logo dell’Error Day 2016, una svastica rovesciata dipinta di rosa, che però non è piaciuto al Comune di Bologna, che ha annullato la conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa, tanto che Sedda si è vista costretta a cambiarlo, disegnando sul volantino una mano che stringe un fiore. Pur con qualche perplessità. “Se ho offeso la sensibilità di qualcuno mi dispiace, ma allo stesso tempo la reazione avuta da alcuni nel vedere il nostro logo è l’esempio del messaggio che avremmo voluto veicolare: la svastica non nasce col Nazismo, ha una sua storia, e mai, prima di Hitler, aveva avuto una connotazione negativa. Compare sul cuore del Buddha, è l’emblema di Visnu, e prima ancora era usato come segno beneaugurante da molte culture, partendo dal Neolitico. Poi sono arrivati potere ed errore, e se ne sono appropriati. Tramite il Festival, volevamo semplicemente riprenderne possesso”.

E aprire una riflessione. Da definizione, infatti, il potere indica la capacità di influire sul comportamento altrui, condizionandone opinioni, decisioni, azioni, finanche i pensieri. “Il meccanismo che porta un individuo a trovarsi nella posizione di imporre un volere, quindi, apre a un ragionamento interessante, perché allora ci si chiede: come si esprime chi ce l’ha? Come si comporta? E come arriva ad avere potere?”. Spunto di partenza è l’Adone di Giovan Battista Marino, poema pubblicato per la prima volta nella Parigi del 1623, tra i più lunghi – e celebri – della storia della letteratura italiana. “Marino dice che, o per sorte si vinca, o per fortuna, o truffa. Non contempla la quarta alternativa, il merito, come a dire che quando viene riconosciuto è già una fortuna. Una volta raggiunto, tuttavia, il potere si lega indissolubilmente all’errore”.

C’è chi si sente un prescelto e chi, abituato a subire i soprusi del potere, divenuto potente commette soprusi a sua volta. Chi, meritevole, viene additato come un pericolo fuori controllo, e chi omette di agire per non disturbare l’equilibrio vigente, o per paura di commettere errori. “E’ una follia, che si ripete in un logorante meccanismo”.

Nel linguaggio, ad esempio, che non è solo il nutrimento della politica ma anche la base dell’informazione, il veicolo della storia, e il nettare della comunicazione umana. “Il potere della parola è sottile ma molto forte, e gli effetti di un eufemismo, o di un termine spregiativo, in una società come quella contemporanea, dove il web celebra o distrugge in pochi istanti, possono essere significativi. E cosa succede quando chi esercita quel potere sbaglia?”. Poi c’è l’errore che genera terrore, come racconta Enrico Zucca, sostituto procuratore generale presso la Corte d’appello di Genova, che sostenne l’accusa per i fatti della Scuola Diaz. “Giudicare si addice più alla divinità infallibile che agli uomini, i quali invece, in questo compito, devono far continuamente i conti con l’errore. Mossi dallo zelo di evitarlo a tutti i costi hanno scoperto anche la tortura. Sentendosi ancor più vicini al potere divino hanno poi pensato che invece di accertare i fatti basta essere giusti, sostituendo in tal modo, il terrore di fare errori con il terrore: quello della giustizia che si impone facendo a meno del vero”.

Vincenzo Branà, dell’Arcigay di Bologna, quindi, parlerà di L’Hobby gay, cioè “della teoria del complotto che immagina nella stanza dei bottoni la lobby omosessuale. Chi la teorizza la teme terribilmente e la racconta coi toni dell’Apocalisse, prefigurando l’omosessualizzazione del mondo e la conseguente estinzione del genere umano”.

“Nessuno è al riparo dall’errore, che sia ortografico o scientifico, dovuto al caso o all’ignoranza – spiega Sedda – è lui l’elemento universale nella storia e nella geografia. Spesso funziona da scarto creativo e diventa l’eccezione inaspettata che chiarisce la regola, aprendo a nuove possibilità. E’ tragico, ma in alcuni casi molto divertente. E noi vogliamo celebrare quanto a lui dobbiamo in termini di crescita personale e conoscenza collettiva”.

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