Nel giorno dei funerali di Umberto Eco, l’Accademia della Crusca risponde a un bambino di 8 anni che ha inventato una nuova parola e chiede di inserirla nel vocabolario di italiano. La coincidenza è la cosa che più ha commosso Margherita Aurora, la maestra di Matteo, l’alunno che immagina un fiore “profumato e petaloso”.

Non è blasfemia. Nella pagine de “La bustina di Minerva” il filosofo ammetteva di preferire arrendersi ai neologismi giovanili piuttosto che a certi “vizi adulti” nel modo di parlare o, ancor peggio, all’uso improprio della lingua. E chissà cosa avrebbe pensato lui, a ogni modo reduce dal Gruppo ’63, di una parola che per stessa ammissione della Crusca è “chiara e bella”. Non credo si sarebbe opposto al processo social di inserimento per plebiscito nei nuovi dizionari della lingua italiana.

Matteo petaloso

Quel processo è nato da un #hashtag che incoraggiava il popolo di facebook e twitter ad aiutare Matteo nel realizzare un piccolo sogno. Quello di veder inserire una parola solo sua nel linguaggio di tutti. Quando ho creato l’hashtag #petaloso immaginavo un forte coinvolgimento emotivo dei lettori, favorito dalla grazia che quella piccola storia nata all’interno di un’aula di terza elementare portava con sé. Il seguito è andato anche oltre le aspettative.

Con il successo dell’iniziativa, come prevedibile, sono arrivati anche i biasimi per la sovraesposizione mediatica. Anche verso la volenterosa maestra. D’altronde Swift avvertiva che le critiche sono la tassa che un uomo paga al pubblico per essere famoso. In questo caso però di famosa doveva diventare solo una parola. E c’è riuscita.

C’è riuscita in un modo quasi fiabesco. Prima pensavo a cosa avrebbe potuto dire Eco del felice errore di Matteo. Ora penso a cosa direbbe uno che, di bambini, grammatiche ed errori, aveva la patente di intenditore. Gianni Rodari.

Il petaloso del piccolo Matteo sembra uscito da un suo libro. Non è un caso che la maestra Margherita (che deve il suo nome al padre appassionato lettore di Bulgakov) mi abbia confidato di essersi ispirata al momento della correzione al Libro degli errori.

“Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio la torre di Pisa” scriveva Rodari. Bene, questo “mago distratto” di Matteo non si vede l’errore cancellato come ne “L’ago di Garda”. Il suo errore diventa “bello”. “È un bell’errore” scrive la sua maestra. La possibile mortificazione si trasforma in incoraggiamento. La maestra Margherita ha fatto il suo capolavoro.

L’Accademia della Crusca farà poi la sua parte, mettendo da parte l’aura di grigio ente ingessato e spolverando invece un inaspettato savoir-faire da perfetta babysitter della tradizione letteraria. “Se riuscirai a diffondere la tua parola fra tante persone […], ecco, allora petaloso sarà diventata una parola dell’italiano, perché gli italiani la conoscono e la usano”. E suggerisce anche un esempio che possa aiutare Matteo a coltivare il suo intento: la lettura del libro Drilla di Andrew Clemens, che  “racconta proprio una storia come la tua, la storia di un bambino che inventa una parola e cerca di farla entrare nel vocabolario”.

La fantasia dalla letteratura si sposta nella realtà. Ci sono riusciti un bambino di 8 anni che ha usato l’immaginazione e una maestra elementare che ha saputo ascoltare il suo alunno e avere fiducia in lui. Ci sono tutti gli ingredienti che sempre Rodari volle per la sua Grammatica della fantasia, quando si augurava che il suo libro potesse risultare utile “a chi crede che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola”.

Una piccola storia, una piccola fiaba, è stata scritta. E un esempio è stato tracciato. Non so se petaloso entrerà mai in un vocabolario. Ma intanto un bambino di 8 anni ha imparato che la fantasia a volte può diventare realtà. Che credere in qualcosa a prima vista irrealizzabile non ha poi tutta questa inutilità. E la maestra Aurora? Magari introdurrà un corso per sognatori.

Non sarebbe la prima a pensarci. “Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica – immaginava Novalis -, sarebbe scoperta l’arte di inventare”.

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