Mercoledì, mentre la Roma le stava prendendo dal Real Madrid, “Chi l’ha visto?“, la trasmissione della gente che scompare, le suonava a Porta a Porta, l’ammiraglia degli appariscenti.
In un mondo televisivo sensato e finalmente emancipato dalla Prima Repubblica, Vespa gestirebbe una striscia di seconda serata su Rai Due, intrecciando politica e mondanità, mentre Chi l’ha visto?, non per caso inventato nel 1988 da Lio Beghin, arruolato in Terza Rete solo perché la Rai Uno di allora fu tanto gretta da lasciarlo andare via, costituirebbe l’appuntamento di “scavo sociale” sul Primo Canale. Che è la rete più esposta a dimostrare l’interesse pubblico delle trasmissioni allestite grazie al canone e alla concessione statale e che, sommando alla forza del programma la rendita di posizione del tasto 1 del telecomando, rastrellerebbe di sicuro almeno uno o forse due milioni di spettatori in più rispetto ai 3 milioni e passa che Federica Sciarelli usa raccogliere (3,2 milioni nell’ultima puntata).

Aggiungi che da qualche giorno Fabio Fazio sta promuovendo su Rai Tre, sua casa abituale visto che lì è cresciuto fino a “Quelli che il calcio” e lì conduce “Che tempo che fa“, la reinvenzione del “Rischiatutto“, dove, a quanto capiamo dagli assaggi, le rimembranze generazionali si mischieranno con qualche novità espressiva rispetto ai tempi di Mike Bongiorno, ad esempio con i vari “confessionali” dei concorrenti e dei loro cari a cui ci hanno abituato, nel nuovo secolo, i vari reality, a partire dal “Grande Fratello“. Il punto è che il Rischiatutto Fazio lo lancia su Rai 3 ma lo vedremo su Rai 1. E questo è un secondo caso di “generalismo a largo spettro” che, nato su Rai 3 in tutt’altra stagione, quella della concorrenza protetta dalla lottizzazione, e quindi come un “generalismo rivale“, punta ora verso la sua dimora più congrua, e cioè la rete centrale del sistema, come nella attuazione fra canali tv della teoria aristotelica dei luoghi naturali (ogni cosa, se non la trattieni, finisce col tendere al posto cui somiglia).

Tutto sommato a Rai 3 non staremmo a piangere per le emigrazioni e la perdita di ascolti garantiti perché solo smettendo di dover accudire, e sfruttare, l’eredità, si può davvero porre testa al nuovo che occorre. Su quale sia questo nuovo c’è da immaginare che si discuterà parecchio, anche se la definizione di massima , ovvero “cultura e informazione”, è stata già detta – se non andiamo errati – in qualche pubblica occasione. Indicazione assai vaga che può sia spaventare, al pensiero di un fatuo chiacchiericcio o di una torma di professori che straparlano, sia far sperare all’idea che vengano in primo piano le inchieste e l’aggiornamento delle notizie 24 ore su 24, ovvero il segmento oggi assente nell’assortimento offerto dai primi tasti del telecomando. Così, tanto per buttarla lì.

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