Alcuni giorni fa ho mandato in giro l’invito a partecipare a un convegno su Piero Gobetti, cui ero stato a mia volta chiamato (assieme a Paolo Bagnoli e Lauro Rossi) come relatore. Un vecchio socialista libertario mi ha risposto con un’irrisione verso il renzismo: “Gobetti chi?, direbbero i renziani”, facendo il verso al famoso “Fassina chi?”. Era solo uno sberleffo? Non credo. Tuttavia poteva essere interpretato in due modi: uno, letterale, di dichiarazione di assoluta distanza (con molte ragioni) nei confronti di uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento e del suo liberalismo opposto a quello del più utile Verdini; oppure di “beata innocenza”: il “Nuovo” è anche ignaro di tutto. Se il presidente del Consiglio pochi giorni fa ha dimostrato di non sapere che il Regno Unito non sta nella zona dell’euro, è inverosimile che una sua ministra non conosca nemmeno di nome l’autore di “Rivoluzione liberale”?

Eppure Gobetti sarebbe, come lo fu ai tempi del nascente fascismo, una medicina salutare e forte, troppo forte per le menti appecoronate degli intellettuali di allora (e di adesso), per non parlare degli italiani che dimostrano da troppo tempo di bersi tutto e il contrario di tutto, di votare per qualunque imbonitore da quattro soldi si affacci sul palcoscenico della politica. Perché allora non approfittare di questa ricorrenza della morte in esilio (dopo una solenne bastonatura da parte degli antenati di Gasparri, Meloni e La Russa) di questo “ragazzino” che a 25 anni anni aveva già scritto una quantità di cose preziosissime ancora oggi? Eppure il suo pensiero è in un cono d’ombra: Gobetti, finché gli fu permesso dagli antenati di cui sopra, pubblicò un giornale chiamato “Rivoluzione liberale” (lo potete leggere gratis e integrale sul sito del Centro Gobetti di Torino), e, somma iniuria, questa formula è stata copiata in questi ultimi venti anni addirittura da un noto frodatore dello Stato.

Era ovviamente una parodia, ma molti intellettuali “liberali”, dediti al servilismo, hanno fatto finta di crederci (li disistimiamo ma non possiamo pensare che ci credessero davvero) e pur di accaparrarsi dei posti in Parlamento o nei giornali si sono autoaffibiati la patente di “minus habentes”. Parallelamente, per coerenza, sono stati costretti a cacciare dal pantheon del liberalismo l’unico che in Italia aveva capito la natura del fascismo e degli italiani. E che aveva mutuato da maestri come Einaudi e Mill un liberalismo conflittuale assolutamente attuale. Il tutto per fare posto ai nuovi eroi della “Rivoluzione liberale” made in Arcore, come Previti e Dell’Utri, o di quel tale che da Popper era passato al berlusconismo e al bigottismo clericale. Roba da non uscire da casa per la vergogna.

Che altro aggiungere per i giovani d’oggi? Perché non provate a leggere alcuni scritti di questo giovane morto a venticinque anni? Chissà che non possiate trovare una consonanza di passione libertaria, di spirito critico, di interesse per la politica “vera” che oggi è impossibile rintracciare altrove.

Io, intanto, vi regalo questo scampoletto: “Il metodo del liberalismo, lo si consideri nella sua sostanza economica o etica o costituzionale, consiste nel riconoscimento della necessità della lotta politica per la vita della società moderna”. “Il nostro liberalismo, che chiamammo rivoluzionario per evitare ogni equivoco, s’inspira a una inesorabile passione libertaria, vede nella realtà un contrasto di forze, capace di produrre sempre nuove aristocrazie dirigenti”. Aux livres, citoyens!…

di Enzo Marzo

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