Il giro d’affari delle agromafie ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015. In Italia sono 26.200 i terreni nelle mani di persone condannate in via definitiva per vari reati, compresi l’associazione mafiosa e la contraffazione. Lo afferma il quarto Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Non basta: il mancato utilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata comporta uno spreco di 20-25 miliardi di euro ogni anno. Complice di questa situazione, spiega il rapporto, il fatto che l’iter di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa “si presenta lungo e confuso”.

“Le mafie sono in espansione in ogni comparto economico e, per quanto riguarda l’agroalimentare la loro filosofia è quella di sempre: ‘piatto ricco mi ci ficco’”, ha commentato Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.  “Nell’agroalimentare c’è da guadagnare – ha detto ancora Caselli – se poi si gioca con un mazzo di carte truccato si guadagna ancora di più”. Per quanto riguarda i beni confiscati destinati alle attività socialmente utili, secondo Caselli, “sono una conquista democratica del nostro Paese, ma è un meccanismo che dobbiamo far funzionare. Purtroppo ci sono degli inceppamenti di varia natura da superare”.

Il legame tra beni confiscati alla criminalità ed economia del cibo è forte. Si stima che circa un immobile su cinque confiscato alla criminalità organizzata operi nel settore. Il 53,5% si concentra in Sicilia, il resto in Calabria (17,6%),  Puglia (9,5%) e Campania (8%). Seguono con percentuali più contenute la Sardegna (2,3%), la Lombardia (1,6%), la Basilicata (1,5%) e il Piemonte (1,3%). Le altre regioni si attestano sotto l’1%. Dati che hanno visto Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, “un po’ meno ottimista”. La Lombardia, ha affermato, “è la quarta regione italiana per infiltrazioni criminali, con una forte presenza di camorra e ‘ndrangheta”.

La Direzione investigativa antimafia ha avviato un monitoraggio e i report – sottolinea Coldiretti – denunciano molte irregolarità con molti beni che risultano ancora occupati o dai mafiosi stessi o da loro parenti e prestanome. All’origine di ciò, ribadisce il rapporto, inadempienze, procedure farraginose, lungaggini burocratiche. I criminali che non vengono sgomberati dagli immobili godono persino del vantaggio di non dover pagare le tasse sul bene, poiché sequestrato.

Allla presentazione del rapporto Coldiretti ha partecipato anche Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che è tornato sul tema degli “anticorpi” contro le tangenti dopo l’arresto del consigliere regionale lombardo leghista Fabio Rizzi. “Non credo affatto che Milano sia una città indenne dalla corruzione, non l’ho mai pensato né detto”, ha precisato a proposito di una polemica di qualche mese fa sul confronto tra il capoluogo lombardo e la Roma di Mafia capitale. “Non credo che avere gli anticorpi significhi che non ci sia la corruzione- spiega Cantone- il mio ragionamento riguardava la capacità di quella città di mettere in campo gli anticorpi con riferimento a quanto avvenuto in Expo, e questo si è verificato”.

Anche Cantone – già magistrato anticamorra – ha sottolineato l’importanza di intervenire sulla legge che regola i beni confiscati. “Il riutilizzo dei beni delle mafie è essa stessa un’attività antimafia, perché si lanciano messaggi chiarissimi sulla capacità dello stato di intervenire”. Ma i problemi ci sono, in particolare “in Campania, Calabria e Sicilia”. Ma “si dovrebbe avere il coraggio, su alcuni beni che non sono utili, di prevedere anche meccanismi di dismissione e di lavorare meglio sui beni in una funzione che credo debba essere sempre più di start up economica”.

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