A Berlino approda il “Genius“. Che non è un attore, né un regista e neppure uno scrittore o un artista nel senso classico. Per la prima volta il cinema celebra il talento di un editor letterario. Tal Max Perkins fu uno dei più talentuosi editor americani del XX secolo e a lui si devono le pubblicazioni di alcuni capolavori di E. Hemingway, F. Scott Fitzgerald e di Thomas Wolfe. In altre parole, senza Perkins forse oggi non avremmo né Addio alle armiIl grande Gatsby, giusto per dare un’idea della portata del personaggio. Genius del debuttante britannico Michael Grandage è a lui dedicato, nello specifico segmento di vita e carriera in cui scoprì e lanciò il talento di Thomas Wolfe, l’eccentrico romanziere morto prematuramente che ispirò nuove sensibilità della letteratura USA, inclusa la Beat Generation. Nel cast due stelle assolute: Colin Firth nei panni di Perkins e Jude Law in quelli di Wolfe. Con un corollario non certo trascurabile formato da Nicole Kidman come amante di Wolfe, Guy Pearce come Hemingway e Laura Linney come moglie di Perkins.

Istrionico ed incontenibile Wolfe quanto taciturno e introverso Perkins, i due dal 1929 crearono un’amicizia viscerale, che è il cuore della pellicola qui in corsa verso l’Orso d’oro, benché con scarsissime possibilità di conquistare qualche premio essendo piuttosto mediocre. Se la qualità quindi non abbonda, ad abbondare oggi alla Berlinale è comunque il clamore per la presenza del duo Law-Firth. Britannici fino al midollo, il due attori si sono piegati agli accenti americani per incarnare dei character estremi. “Perkins mi intriga perché tiene tutto dentro, coccola il mistero di chi non sa esprimersi se non attraverso le parole di altri. E infatti delega al vulcanico Wolfe la voce delle emozioni”. Da parte sua Jude Law ha sudato sette camicie per entrare in quelle dello scrittore de “Il fiume e il tempo” (1935) “Tom ambiva a trovare dentro di sé una voce originale e profetica rispetto alle mode letterarie vigenti, aveva immense capacità di scrittura. La sfida più ardua per me e penso per Colin è stata quella di aderire alla loro velocità di pensiero. Questi due grandi talenti avevano un’abilità intellettuale pazzesca, difficile da riprodurre. Abbiamo dovuto provare molto”.

Genius uscirà in autunno nelle sale italiane grazie ad Eagle: purtroppo, si diceva, il film non risponde alle alte aspettative sia per il soggetto coinvolto sia per i performer esibiti, che danno invano il loro meglio per alzare il livello di un’opera lontanissima dalla rappresentazione profonda di un mondo creativo e in evoluzione come l’America di quegli anni. D’altra parte il concorso internazionale di Berlinale 2016, giunto oltre alla metà dei suoi 18 titoli, è ben al di sotto della media delle recenti edizioni. Tra tutti resta alta la media del consenso critico mondiale per il nostro Gianfranco Rosi, il cui “Fuocoammare” si candida ogni giorno di più a sperare in un premio. Al suo fianco spiccano le due produzioni francesi – “L’avenir” di Mia Hansen-Love e “Quand in a 17 ans” di André Téchiné – e sono abbastanza buone le prove del portoghese Ivo M. Ferreira (“Cartas da guerra“) e del cinese Yang Chao (“Crosscurrent“): il resto è grande delusione, in attesa nei prossimi giorni dei film dello statunitense Alex Gibney, del danese Thomas Vinterberg e del filippino Lav Diaz.

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