I licenziamenti per l’assenteismo al Comune di Sanremo e l’annuncio di regole severe per i dipendenti colti in flagrante sembravano giusti provvedimenti, capaci di reprimere il fenomeno e soddisfare l’opinione pubblica. Ma è scoppiato il caso Acireale e l’ immagine dell’impiegato di Sanremo che scende a timbrare il cartellino in mutande si è mescolata alla “timbratura di gruppo” degli impiegati del comune siciliano. E’ stato come versare benzina sul fuoco: la condanna generalizzata del settore e lo slogan “tutti a casa perché sono inutili”!

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Credo che dovremmo evitare un clima di caccia alle streghe, semplicistico e ingeneroso. I dipendenti pubblici sono tre milioni e svolgono lavori diversi: sono gli insegnanti pagati male, svillaneggiati da pseudo esperti che li accusano di arretratezza nelle metodologie di insegnamento; sono i vigili del fuoco che ogni estate non ci appaiono assenteisti, in pochi gestiscono un tremendo lavoro. Sono le forze dell’ordine che svolgono un lavoro ingrato e pericoloso, e potremmo continuare con gli ospedalieri, con i finanzieri….

La crisi ha accentuato la competizione tra le categorie e ai dipendenti pubblici viene addebitata ogni sorta di colpa: responsabili della nostra scarsa competitività; causa del pesante deficit che appesantisce il Paese; trovano lavoro per raccomandazione e, adesso, si confermano pure fannulloni! In particolare se messi a confronto con l’impresa. Peraltro non sembra che il settore pubblico italiano occupi uno spazio eccessivo nel Pil e negli occupati rispetto alla media dei paesi Ocse, secondo il Rapporto Governance at glance 2015.

Semmai abbiamo una struttura di occupati con alta anzianità e una sottorappresentazione della componente femminile nella sua parte alta. Si aggiunge che l’assenteismo e i costi sono buoni argomenti per la privatizzazione di quante più attività possibile. Ma nel recente passato abbiamo trasferito numerose aziende al privato (dalle banche alle autostrade, all’acciaio) e non sembra che il Paese sia molto migliorato. La nostra classe imprenditoriale mostra tassi di assenteismo elevato e investe poco, mentre nei momenti di difficoltà restituisce le imprese allo Stato. L’Ilva di Taranto con le sue tecnologie inquinanti e arretrate sta a dimostrarlo con drammatica dimensione.

Ci conviene dubitare delle diagnosi semplici rispetto a problemi organizzativi complessi. Veramente pensiamo che il problema della nostra pubblica amministrazione risieda in piccoli manipoli di “furbetti”? Piuttosto prenderei in esame la mancanza di visione strategica politica al riguardo, la persistente iper regolamentazione, la carenza di informatizzazione perfino nei settori più delicati. I ministri succedutisi dal dopoguerra alla guida del dicastero non hanno mai dato un senso alla parola Riforma, limitandosi a una permutazione, di volta in volta, con le parole semplificazione, innovazione, funzione.

Possibile che non arrivi un Ministero per la Gestione del Servizio Pubblico che offra ai cittadini trasparenza, accesso facile ed efficienza? E i dirigenti, quelli ben pagati secondo la ricostruzione accurata di Roberto Perotti, come esercitano la loro responsabilità? Né si può trascurare il ruolo assente dei sindacati, mentre ci vengono comunicati risparmi per 12 milioni grazie al blocco dei distacchi sindacali.

Noi cittadini dobbiamo essere esigenti nel rapporto con la pubblica amministrazione e insieme difendere la dignità di una burocrazia (nel senso di razionalità ed efficienza che il sociologo Max Weber attribuiva a questa parola) che garantisce i beni e i servizi comuni e costituisce da sempre la base di uno Stato autorevole. Essere un lavoratore pubblico in Scandinavia, negli Stati Uniti, in Francia, in Gran Bretagna, significa occupare un ruolo ben remunerato circondato da rispetto, giustificato da competenza ed etica dei funzionari pubblici. E gli individui che sbagliano ne paghino le conseguenze.

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