Fibre Parallele

Le parole sono importanti, sentenziava quello con la calotta in testa a bordo piscina prima di vibrare il sonoro ceffone. Anche i nomi sono importanti. Se il nome non te lo danno, come accade alla nascita, ma te lo devi scegliere, come accade alle compagnie teatrali, è ancora più difficile. E se sbaglio? E se tra non molto tempo non mi/ci rappresenta più? E se adesso suona bene e domani mi ha già stufato? Darsi un nome, un marchio, che rimarrà, sulle locandine, nei comunicati stampa, sui libri. Deve essere uno spot scorrevole, non disturbante, soprattutto si deve ricordare, non deve passare inosservato, non deve cadere nel dimenticatoio e nell’oblio, non si deve confondere con altri del passato, deve essere brillante, forse anche esotico. C’è chi punta sull’erotico, chi sul bizzarro, chi sullo strambo.

Abbiamo fatto una cernita, che sarà certamente parziale, un elenco delle compagnie teatrali italiane, professioniste e non, i cui nomi ci hanno colpito per follia, esplosività, generosità, genialità, gusto della spericolatezza letteraria, sfrontatezza, gioco e bislaccheria. Ne mancheranno certamente all’appello, non vogliamo peccare di esaustività. Da dove partire, che la lista è lunga. Appellativi che fanno sorridere, alzare il sopracciglio, o ancora chiedersi come sia stato possibile formalizzarli e formularli, pensarli e metterli su carta intestata. Potremmo iniziare con il Teatro Sotterraneo di Firenze, che in questi anni è emerso eccome a livello italiano, e rimanendo in Toscana ecco le Isole Comprese Teatro, al sapore di Aiazzone e mobilia sparsa in tutta Italia, fino all’essenzialità dell’uomo medio e grigio, normale e senza peculiarità: Gli Omini.

A La Spezia poi ci sono Gli Scarti, a Milano malattie come Le Scarlattine (non è un virus il teatro, dopotutto?), a Prato non abbaiano ma mordono I Cani e rimanendo sospesi tra poesia e etologia sul Mar Tirreno gli appena formati Ossadiseppia, tra Montale e carcasse marine per rifarsi il becco. Ancora animali, duri e testardi e di scalciata facile I Ragli romani ma calabresi nel dna, o da cortile come Le Galline, girl power d’annata, il mix eccentrico dei Topi Dalmata, piccoli ma preziosi a pois juventini, di Siena, i porci con le ali dei Guinea Pigs, l’ossimoro Angelico Bestiario, come nella calda tana il Beato Ragno, che se la devono vedere con i Nidodiragno, tenere e delicate le Formiche di vetro, fino alla resurrezione da Era Glaciale con Clinica Mammut, impazzite le Scimmie nude.

Un nome è per sempre. Come l’amore. Finché dura, fino allo scioglimento della compagnia. E’ la spinta che lega Pirandello a Renato Zero, la pazzia come fondale teatrale bandiera della diversità: anni fa c’erano i Magazzini Criminali, poi divenuti Lombardi-Tiezzi, nome che incuteva rispetto e che aveva un’assonanza con le loro scelte sul palco. Sulla pazzia, Compagnia dei Folli, sulle malattie del desiderio, Compagnia dei Gelosi, come i pugliesi Maniaci D’Amore, combinazione dei cognomi dei due soci ma che apre innumerevoli riflessioni. Ed ancora Leviedelfool di Calcata, puk allo stato puro il suo unico attore, la Compagnia Instabile, che rimano con gli Instabili vaganti, fino alla Generazione Disagio o all’Accademia degli Intronati.

Perché si fa teatro? Per terapia. C’è anche il Teatro Forsennato che si agita parecchio, quelli che sentono il cuore, il Teatro del Battito, i cultori della segnaletica stradale, Doppio Senso Unico, quelli che lo fanno in casa, Terzo Piano Teatro. E ci sono anche gli spazi quotidiani, Quotidiana.com, da condividere: sangue e mannaia per la Macelleria Ettore che si fa competitor delle Macellerie Pasolini, il Giardino Chiuso e l’Orto degli Ananassi, al sapore nostalgico di Mercante in Fiera, la meccanica di telai e acciaio della Carrozzeria Orfeo, l’arte di San Giuseppe infusa ne le Brugole, e la paglia del Teatro Stalla del troppo presto scomparso Matteo Latino, perfino una Ex Drogheria.

Per qualcuno il Teatro arriva all’Improvviso, per tutti è Necessario, alcuni sono incerti, Teatro Bo, per qualcun altro è Impertinente, altre da nascondere come catacombe cristiane, Teatrino Clandestino, oppure può essere Chimico, o Giullare, perfino Ateo, con il mal di gola, Teatro della Tosse. Chi non ha scarpe non ha ragione mai, diceva Fossati; lo sanno bene i Teatro Scalzo, che se la intendono con il Teatro dei Mignoli, snelli e atletici i Teatro Magro, così come i Teatro dell’Osso o essenziali come i Nudoecrudo, e per riposarsi tutti scelgono il Divano Occidentale Orientale. Affatto superstizioso il Teatro Viola, affamati il Teatro delle Briciole. C’è chi ha problemi con la matematica, Diviso per zero, chi non ha imparato la lezione di Inarritu, gli Zero grammi, quelli biblici, Babilonia e il salvifico Il Paracadute di Icaro, o clericali, Il ciliegio del prete, tra Cechov e confessionale. Non temono di sudarsi addosso gli Appiccicaticci ed evidentemente non sono supereroi con il mantello i Krypton. Pallonaro è Ugo Sanchez, mentre non sconfessano le dicerie sottolineate anche da De Andrè in “Un giudice” i Nano Egidio che ci ricorda la Monaca di Monza e i suoi peccatucci di carne.

A volte è fatto con tono Guascone, altre da veri e propri Guitti, o da Figli di Troll, altri sono alcolici, i Rum & Pera, anche se c’è sempre un Eco di fondo sottile che tutti lega e contiene. Hanno dentro quel pizzico di genio gli appellativi Fibre Parallele, che s’incontrano eccome, come Biancofango, che sa di neve sporca ai lati delle strade di una metropoli. Ci hanno fatto sobbalzare i lombardi Iloveyousubito, per esaltarci con i torinesi Comunque Polonio era malato. Anche se la palma va sicuramente ai No grazie, una risposta alla Bartleby: preferisco di no. Un nome è per sempre. Altro che diamanti.

Fonti: ateatro; Associazione Scenario; Ubulibri; Progetto C.Re.S.Co; Elena Lamberti, Paola Vezzosi, Ciro Masella, Graziano Graziani, Fabrizio Lombardo, Tindaro Granata, Debora Mattiello, Cinzia De Felice, Oliviero Ponte Di Pino, Rossella Menna, Andrea Cerri, Silvia Bragagni, Stefano Duranti Poccetti, Maria Donnoli, Guido Nardin, Elena Turchi, Giulia Focardi, Federica Quaglieri, Rosario Mastrota, Roberto Andrioli, Stefano Gragnani, Matteo Torterolo, Francesca Bianchi, Enrico Sortino, Ippolito Chiarello.

Articolo Precedente

Glosse #2: Rosaria Lo Russo e la strana storia del Gruppo ‘93

next
Articolo Successivo

Italian Book Challenge, il campionato delle librerie indipendenti: vince chi legge 50 titoli in un anno

next