“Caro Eugenio, non è il chi dell’Eurozona ma il cosa. E su questo siamo all’accanimento terapeutico”. Si può sintetizzare così la lunga lettera che Matteo Renzi scrive al fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari intervenuto, a sua volta, sul braccio di ferro ingaggiato dal premier italiano con le istituzioni europee “ingessate di burocrazia”. Breve riepilogo dello scontro: l’Italia sta portando avanti, spesso in contrapposizione con la Germania, la battaglia per un allentamento del rigore finanziario e a favore di una strategia più orientata alla crescita a livello europeo. Agli attacchi del premier italiano la Commissione ha smesso di rispondere, affidandosi alla moral suasion delle istituzioni, a partire dalla Presidenza della Repubblica. Renzi tira dritto, sapendo che in una manciata di mesi alcuni nodi arriveranno al pettine: su tutti, a maggio, il giudizio della Commissione sulla legge di stabilità con la previsione di un richiamo formale sui conti pubblici e nello stesso mese il banco di prova delle amministrative sul consenso di cui gode il suo governo, anche su questo scontro sulla politica economica (con lo spread che torna a fasi sentire).

Così il dialogo e il confronto si sposta altrove, sul giornale scelto da Renzi per veicolare il pensiero del governo italiano senza esporsi direttamente. Tema del giorno: il supercommissario europeo alle finanze che sarà oggetto della discussione che si apre oggi all’Eurogruppo e all’Ecofin di domani. Il refrain di Renzi è ancora “L’Europa sta sbagliando di sola austerity si muore”. In sostanza il premier non boccia l’idea di un commissario unico delle finanze, ma chiarisce che “la questione del superministro europeo del Tesoro non è il punto centrale. Oggi il problema dell’economia dell’Unione non è il superministro, ma la direzione. Perché — questa è la tesi del nostro Governo — negli ultimi anni l’Europa ha sbagliato strada”. La strada è quella degli Usa: “Negli otto anni di presidenza democratica, gli Stati Uniti hanno puntato su crescita, investimenti e innovazione. L’Europa su austerity, moneta, rigore. A livello economico gli Stati Uniti stanno meglio di otto anni fa, l’Europa sta peggio di otto anni fa. Sintesi da titolo di giornale o se preferisce da tweet: Obama ha fatto bene, Barroso no”.

“L’austerity non basta”, dice Renzi. “E del resto i Paesi che sono cresciuti in Europa lo hanno fatto soltanto perché hanno violato in modo macroscopico le regole del deficit: penso al Regno Unito di Cameron che ha finanziato il taglio delle tasse portando il deficit al 5% o alla Spagna di Rajoy che ha accompagnato la crescita con un deficit medio di quasi il 6%. Se una cura non funziona, dopo otto anni si può parlare di accanimento terapeutico”

Renzi previene l’obiezione più scontata. “Non pongo un problema di regole, sia chiaro. L’Italia rispetta le regole, con un deficit che quest’anno sarà il più basso degli ultimi dieci anni (2,5%). La Germania invece non rispetta le regole con un surplus commerciale che continua a essere sopra le richieste della Commissione. E ciò nonostante l’Italia è ripartita grazie alla spinta dei consumi, al sentimento di fiducia dei cittadini, al Jobs Act, alle riforme che costano fatica, ma sono necessarie. Il problema non sono le regole, dunque; il problema è la politica economica di questa nostra Europa. Prima di parlare di superministri, dobbiamo forse chiarirci fra noi sulla linea di politica economica. Perché di sola austerity si muore”.

Il problema posto da Renzi riguarda dunque il ruolo dell’Europa e dell’Italia, nel processo di cambiamento che l’attende. “Significa una strategia globale sull’immigrazione, fatta di cooperazione internazionale più che di filo spinato. Significa una visione unitaria del sistema finanziario, specie in questo periodo di grande turbolenza anche di qualche banca tedesca. Significa impostare regole comuni sulla selezione dei candidati alla guida dell’Europa, a cominciare dalle primarie per la presidenza della Commissione.[…] Dalla crescita alle primarie, dalla formazione per i nuovi europei alla direzione della politica economica, dall’Europa sociale alla lotta contro gli egoismi e le paure nazionali, l’Italia c’è. Ed è in prima fila, a fare la sua parte, giorno per giorno. In prima fila senza timidezza, con la forza delle idee; in prima fila per la potenza — me lo permetterà, in questo caso — della nostra identità culturale ed economica. In prima fila non per prendere tre voti in più alle elezioni, ma per dare un futuro ai nostri figli. E questo, in fin dei conti, è ciò che vale davvero”.

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