Domenica scorsa sono stata a L’Aquila. Non c’ero mai stata prima, l’avevo sempre vissuta attraverso foto e racconti post terremoto. La città vista da lontano è un mare di relitti sopravvissuti alla battaglia più feroce, dai quali spuntano gli alberi maestri delle gru, mentre tutto intorno conserva tristemente i segni della sconfitta.

Ho camminato lungo il centro storico che ormai non è altro che un grosso cantiere, con i palazzi sventrati in fase di ricostruzione; ero decisa a fare qualche foto, ma tutto impone un rispetto assoluto, il rispetto che si deve ad un valoroso guerriero che non ha mai abbandonato il campo di battaglia: le strade, le case, le chiese, i negozi chiusi e quei pochi aperti, le finestre vuote che ti guardano come occhi tristi.  La gente cammina composta e silenziosa  su un tappeto di coriandoli, che lascia intuire la voglia di ricominciare a sorridere nonostante tutto, la forza di una città che, abbandonata e svilita proprio da chi invece avrebbe dovuto averne cura, festeggia a testa alta il suo carnevale di rinascita.
Passeggiare tra le piccole vie interne svuotate di vita, ha il sapore di una malinconia rabbiosa per ciò che si doveva fare e non è stato fatto e per ciò che è stato fatto con vergognoso ritardo e superficialità. Sono passati quasi sette anni da quel 6 aprile 2009 in cui la terra ha tremato a L’Aquila e la città  ha ancora il respiro affannato e le membra stanche. Sono circa le 19 e in alcuni punti del centro storico il silenzio è tombale, le insegne scolorite rimandano ad un passato troppo vicino che ancora non vede un futuro.
Il tappeto di coriandoli continua per tutto il tragitto, creando un percorso di colorata speranza in mezzo al grigio dei cantieri aperti, fino a Parco del Castello nel quale è da poco terminata una festa di accoglienza per gli stranieri presenti in città: famiglie riunite, trampolieri e pagliacci, piccoli carri allegorici e una straordinaria sensazione di unione in mezzo a tante cose spezzate. Ma la notte comincia a calare, una notte senza luna e il vociare dei bambini diventa un suono sempre più lontano, fino a che il silenzio torna presto ad occupare il suo posto tra le stradine de L’Aquila, tra le fredde impalcature che nascondono i resti di una città d’arte, tra le case sigillate e l’asfalto sconnesso, mentre un debole vento freddo incomincia a danzare con i coriandoli rimasti a terra, unici testimoni della vita che continua e di una città che non si arrende.
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