Più attenti in estate, con una memoria di ferro da settembre in poi. Anche le nostre capacità intellettive risentono dell’alternarsi delle stagioni. È quanto dimostra un nuovo studio pubblicato dall’università belga di Liegi sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas).

Per scoprire le stagioni del cervello, i neuroscienziati coordinati da Gilles Vandewalle e Christelle Meyer hanno messo alla prova 28 volontari, sottoponendoli ad una serie di test in diversi momenti dell’anno. Ad ogni tornata, ciascun partecipante è stato chiamato a trascorrere quasi cinque giorni chiuso in laboratorio, in modo da non risentire direttamente di fattori stagionali come la luce solare. Al termine di questo breve periodo di isolamento, i ricercatori hanno valutato l’attività cerebrale dei volontari sottoponendoli ad una risonanza magnetica funzionale durante l’esecuzione di due test mirati a misurare le capacità cognitive.

I risultati hanno mostrato che le performance del cervello rimangono costanti durante l’anno, mentre cambiano le risorse che l’organo attiva per eseguire i diversi compiti. Le attività cerebrali legate all’attenzione, ad esempio, raggiungono il picco massimo a giugno, a ridosso del solstizio d’estate, mentre sono al minimo in corrispondenza del solstizio di inverno. Le attività cerebrali legate alla memoria a breve termine, invece, sono al massimo durante l’autunno, mentre raggiungono il livello minimo all’equinozio di primavera. Secondo i dati raccolti dai ricercatori, queste oscillazioni non ricalcano quelle degli ormoni, come ad esempio la melatonina, e neppure altri parametri neurofisiologici come il ciclo sonno-veglia. Alcune funzioni cerebrali dunque andrebbero al di là dei ritmi circadiani giornalieri e risentirebbero delle stagioni più di quanto immaginato finora, con oscillazioni specifiche per ciascun processo cognitivo.

L’abstract su Pnas

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