Il figlio dell’ex ministro Cancellieri, Piergiorgio Peluso, andrà a processo per il crac Ligresti. Lo ha stabilito il Gup di Milano Elisabetta Meyer che ha rinviato a giudizio 12 persone, tra le quali appunto l’attuale direttore finanziario di Telecom Italia, accusate di concorso in bancarotta in relazione al fallimento di Imco, una delle holding della famiglia siciliana. Il processo inizierà il 21 aprile prossimo davanti i giudici della seconda sezione penale del tribunale di Milano.

Peluso era indagato in qualità di ex “amministratore delegato di Unicredit Corporate Banking, quindi la sua nuova posizione giudiziaria getta un’ombra sull’operato dell’istituto nell’ambito del fallimento del gruppo immobiliare che faceva capo ai Ligresti, le cui banche di riferimento erano appunto Unicredit e il suo principale azionista, Mediobanca. Ed il filone dell’inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio di Peluso è scaturito proprio dall’analisi dei rapporti tra il costruttore siciliano e i suoi creditori e, quindi, degli eventuali illeciti commessi durante il cosiddetto salvataggio di Fonsai che, con la regia di Piazzetta Cuccia, ha traghettato i resti dell’impero del costruttore siciliano nelle braccia del gruppo assicurativo delle coop, Unipol.

In particolare al manager – che nel processo di Torino a carico dei Ligresti e degli ex amministratori di Fonsai è stato tra i testimoni dell’accusa –  è imputato il concorso alla dissipazione del patrimonio della holding Imco a favore dei creditori del gruppo. L’ipotesi dell’accusa è che un anno prima del passaggio in Fondiaria Sai, l’allora alto dirigente di Unicredit Peluso abbia contribuito al dissesto della holding azionista della compagnia attraverso Premafin e fallita nel giugno 2012, “con le aggravanti di aver commesso più fatti di bancarotta fraudolenta e di aver causato un danno patrimoniale di rilevante gravità“.

Cuore delle accuse, l’operazione con cui nell’agosto 2010 Imco  si è accollata i debiti della sua controllante Sinergia, si è indebitata per altri 153 milioni nei confronti della banche, Unicredit in testa e ha dato loro in garanzia i propri beni, incluse le azioni Premafin e l’ambita area milanese destinata al centro di ricerca Cerba che avrebbe dovuto fruttare centinaia di milioni di euro, se il progetto quattro anni dopo non fosse saltato, ma che all’epoca costituiva una garanzia ben più solida della Tenuta Cesarina che in quell’occasione è stata venduta dall’indebitata Sinergia alla controllata Imco per un incasso di 76 milioni cui si sono aggiunti 22 milioni di dividendi.

Passaggi complessi che, come aveva sottolineato il procuratore Luigi Orsi nell’avviso di conclusione delle indagini ora passate nelle mani della collega Donata Costa, sono stati stati ideati ed eseguiti dagli amministratori e sindaci delle due holding in concorso con Peluso, i quali avrebbero così dissipato il patrimonio di Imco “cagionandone il dissesto“. Tuttavia la vicenda, secondo quanto dichiarato dal manager a Torino nell’udienza del 27 febbraio 2015, non ha nulla a che vedere con il suo passaggio in Fondiaria Sai avvenuto poco meno di un anno dopo per fruttargli nel giro di un altro anno 3,6 milioni di buonuscita. Merito di una clausola contrattuale che lo tutelava da due eventualità tra loro, di fatto, contrapposte: quella che la famiglia Ligresti gli impedisse di portare a termine la “ristrutturazione della compagnia” e quella che FonSai cambiasse azionista di controllo. Come in effetti è accaduto con il traghettamento del gruppo assicurativo e dei suoi debiti miliardari verso Mediobanca tra le braccia di Unipol.

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