In Europa è il Paese dove la sharing economy ha attecchito di più. Parigi, ad esempio, è la prima destinazione mondiale di Airbnb. E i francesi sanno essere innovativi nel settore. Dall’idea di un giovane e sveglio imprenditore, Frédéric Mazzella, è nata BlaBlaCar, una piattaforma per trovare un compagno con cui viaggiare in auto, dividendo le spese: ormai un grande successo anche in Italia. Sì, ma la Francia è pure il Paese dove i tassisti bloccano per giorni il traffico nelle principali città per protestare contro Uber (e UberPop è stato da tempo messo fuori legge). Ebbene, sono in arrivo nuove proposte del Governo, con la priorità di far pagare le tasse agli utenti del “consumo collaborativo”. Per trovare un compromesso tra un nuovo (e inesorabile) modo di consumare e uno Stato da sempre onnipresente, con le sue regole, tasse e contributi, che alimentano una generosa assistenza sociale.

Nell’ottobre scorso il premier Manuel Valls aveva chiesto al deputato socialista Pascal Terrasse di redigere un rapporto sul tema. Il parlamentare l’ha consegnato al primo ministro. Contiene una serie di proposte: in testa, quella di imporre ai vari Airbnb e leboincoin.fr (sito di piccoli annunci, ideale per lo shopping a basso prezzo) l’obbligo di comunicare al Fisco gli introiti dei propri affiliati. In Francia questi rapporti non sono documenti destinati a restare lettera morta: si trasformano spesso in leggi, che il Partito socialista, con la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, riesce a far passare.

Nel suo documento Terrasse mette subito le mani avanti, sottolineando che “la sharing-economy non è l’uberizzazione della nostra economia”. E la presenta “come un’alternativa credibile a un modello di consumo che ormai va al rallentatore”. La sharing-economy ha un successo esplosivo anche a causa dell’impoverimento del ceto medio negli ultimi anni: permette di combattere un costo della vita, soprattutto a Parigi, molto elevato. Secondo il rapporto, un francese su due nel 2015 ha acquistato qualcosa su Internet (erano meno di un terzo dieci anni fa), così da generare un fatturato totale di 3,5 miliardi di euro, che dovrebbe essere moltiplicato per tre da qui al 2018. Le piattaforme recensite dall’équipe di Terrasse sono 276 e il 70% sono francesi: un dato che conferma quanto il Paese sia innovativo nel settore, che genera anche posti di lavoro, in una fase di difficoltà economiche.

Ma, se si scorrono le proposte del deputato Terrasse, al di là di un generico “accompagnamento” auspicato da parte dello Stato nei confronti delle nuove imprese create nel settore (ci saranno anche finanziamenti?), l’obiettivo principale è quello di porre dei paletti all’attività, così da venire incontro alle esigenze di chi, come i tassisti nei confronti di Uber o degli albergatori parigini al confronto con l’offerta di Airbnb, si considera vittima di “concorrenza sleale”. In particolare si prevede l’obbligo per tutti i siti, anche per quelli che permettono di fare shopping di prodotti usati, di comunicare al Fisco nominativi e relative transazioni finanziarie.

A metà dicembre 2015 i parlamentari francesi avevano approvato una nuova disposizione, già in vigore dal primo gennaio scorso, che obbliga piattaforme di ogni tipo a inviare periodicamente agli utenti una sintesi delle loro entrate e il calcolo delle tasse da pagare (e una multa di 10mila euro per ogni utente non classificato). In questo caso, però, si compie un ulteriore passo in avanti. Che, viste le reazioni oggi in rete, globalmente non piace proprio agli internauti francesi.

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