Non cucini con i guantoni da boxe e non ti scaldi con il ghiaccio. Insomma, deve esserci una coerenza funzionale fra il compito che ti dai e il come lo fai altrimenti non mangi e congeli. La serata Madri, puntata occasionalmente in prime time de’ L’aria che tira (stessa scena, sigla, stesso sound, ritmo, identico pubblico in studio) ha visibilmente sofferto della incongruità fra contenitore e contenuto. Il punto è che il format del programma originale, diurno e quotidiano, trasuda della leggerezza formale che gli consente di farsi accogliere ogni giorno, senza stufare, dal pubblico di operose casalinghe e svegli pensionati per i quali è stato concepito. Perché chiunque capisce che la routine delle faccende e la poltrona dove sfogli la tv del mattino che passa dal serio al farlocco di rimbalzo con l’attualità, pretendono la levitas proprio del quotidiano che non si conserva per l’archivio, ma per incartare le uova, piuttosto che la gravitas dell’opera saggistica e del documentario la cui destinazione finale è lo scaffale.

In più, siamo in Italia, il paese di “Mamma, la mia canzone vola” e di “Son tutte belle le mamme del mondo“, dove quindi tutto puoi fare tranne che allineare la maternità alla attualità politica, perché in questo modo dispiaci sia a chi vuole sentire nominare le proprie emozioni sia a chi sospetta il lupo di Cappuccetto in ogni politica che si travesta di affettività. In questo senso, il farsesco esordio della puntata, con la tirata di Berlusconi che imitava se stesso assumendo per realistici i complimenti di mammà manco la signora Rosa fosse emula di Caravaggio, ha divaricato, fin dal primo passo e oltre ogni immaginabile, la distanza fra l’attuazione e l’intenzione, fra l’usuale chiacchiericcio (piacevole al mattino, ma inconsistente di sera) e l’obiettivo psico-socio-analitico conclamato dal titolo e dalla collocazione oraria. Né potevano supplire, anzi, le molte mamme d’alto bordo intervenute a dire fin quasi alla mezzanotte la loro verità da circolo delle dame.

L’auditel di Madri ha seguito, sia pure a un livello globalmente minore, la classica distribuzione degli ascolti che tocca in sorte ai talk show serali, e non solo a quelli di La7: meno donne che uomini, meno (molti) giovani che anziani, pochissimo Sud. Non tanto poco da affondare le prospettive, ma abbastanza poco da costringere a ripensare radicalmente la messa in campo di un nuovo prodotto per il prime time. Ma la settimana di Sanremo serve anche a questo: a sperimentare quel che va e quello che non va. Tanto c’è il Festival, e che ci vuoi fare.

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