Adesso che il Family Day è definitivamente passato, sarà interessante guardare a quello che si configura come un vero e proprio (family) day after. A leggere i giornali, a tastare l’umore dell’opinione pubblica e a vedere le reazioni della società nel suo complesso, parrebbe che il raduno dei cattolici – forse sarebbe più corretto aggiungere “estremisti” – si sia risolto in un vero e proprio boomerang per l’immagine del movimento omofobo di cui sono sostenitori. Ma andiamo per ordine.

Roma, Family Day al Circo Massimo

Il mondo dello spettacolo, in primis. Lucia Ocone, nel suo sketch a Quelli che il calcio, ha ripercorso le critiche più crudeli che si riversano sulle famiglie tradizionali che partecipano ad eventi del genere. Perché chi è senza peccato, scagli la prima pietra e va benissimo ma – sembra ricordare il personaggio di Veronika – quando tra i tuoi sostenitori c’è chi è divorziato e risposato a Las Vegas, chi ha un marito che ha patteggiato per reato di prostituzione minorile, chi dichiara di aspettare un figlio senza essere sposata (fate voi i dovuti collegamenti) la tua credibilità ad un certo punto, si riduce a zero. Luciana Littizzetto, a Che tempo che fa, ha ridicolizzato Gasparri, il vicepresidente del Senato pure lui presente a Circo Massimo e ormai divenuto più celebre per il suo uso disinvolto dei social network – «se non sei d’accordo con lui, ti blocca» ricorda l’attrice – che per i suoi meriti politici.

E stiamo parlando solo di due protagoniste della televisione italiana. Accanto alle loro, si erano già levate le voci di Luca Argentero, Giorgia, Emma Marrone, Margherita Buy a sostegno delle unioni civili, per la campagna “Sì, lo voglio”. Iniziativa che ha visto anche la partecipazione della scrittrice Michela Murgia, che dichiara di essere cattolica e a sostegno dei diritti della comunità Lgbt.

Anche i giornali si mostrano impietosi. La Stampa ha pubblicato un articolo in cui dimostra, attraverso quella cosa chiamata geometria, che all’appuntamento di sabato c’erano meno di settantamila persone (qualche anno fa, per il concerto dei Rolling Stones, la piazza era stracolma e sono stati staccati settantaduemila biglietti, regolarmente acquistati e dunque documentabili). Su Linkiesta il direttore Francesco Cancellato attacca, durissimo: «Il Family Day è lo specchio […] di un pezzo di Paese che si è ritirato sull’aventino della pre-politica, lasciando l’onere di rappresentanza e della rappresentazione alle terze file berlusconiane, ai pokeristi in cerca d’autore, ai fascisti».

Anche lo stesso mondo cattolico si mostra diviso rispetto alla manifestazione del 30 gennaio. Bergoglio fa arrabbiare Socci (anche lui dal blocco facile su Twitter, in verità) per il mancato sostegno. Gli scout, intanto, si aprono alle unioni civili, come ci ricorda Elena Tebano, sul Corriere. Pure gli esponenti delle altre religioni prendono le distanze. Il rabbino capo di Roma, Di Segni, tirato per la giacca dagli organizzatori ha categoricamente smentito la sua adesione. Più recentemente, a Otto e mezzo, l’islamologa Rassmea Salah si è mostrata possibilista sul ddl Cirinnà: «Estendere i diritti ad altre persone non toglie nulla a me».

Anche nei programmi di approfondimento la piazza aizzata contro le persone Lgbt, le famiglie arcobaleno e i loro bambini non ci fa una figura meno pietosa. A Tagadà, Tiziana Panella ha trattato Carlo Giovanardi da autentico residuato bellico della politica. Gazebo, il programma di Zoro, ridicolizza la manifestazione con la sola forza delle immagini. Mentre tutto questo si consuma al cospetto dei mutamenti sociali, anche le grandi catene commerciali decidono di schierarsi a favore dei diritti delle coppie gay e lesbiche: Ikea, Coop, Althea, Vitasnella e altre realtà hanno mandato messaggi inequivocabili. Per business, nessuno lo mette in dubbio. Ma anche questo è segno che in Italia qualcosa è definitivamente cambiato.

In ciò che resta del Family Day in buona sostanza, più che riecheggiare quel “ci ricorderemo”, inviato a Renzi, a mo’ di minaccia, sembra emergere una realtà molto più capillare e diffusa che la piazza del Circo Massimo non rappresenta più e che forse non ha mai rappresentato. Caterina Coppola, su Wild Italy, fa notare: «Quella piazza secondo molti si è definitivamente posta fuori dal tempo e in controtendenza ad un cambiamento, ad un vento che soffia in tutt’altra direzione: quella dell’affermazione (per altro tardiva) dei diritti minimi alle coppie omosessuali e alle loro famiglie».

Sta al Parlamento, adesso, capire a chi dare ascolto: se a chi raduna, insieme, estrema destra e gruppuscoli di invasati religiosi o quella parte del paese che si è accorta che la gay community esiste e, udite udite, è parte integrante della società.

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