Anche questa storia ha il suo incipit con la rivolta degli africani del 2010. “Tanti di noi si sono chiesti cosa si poteva fare per risolvere la situazione e abbiamo deciso di costituire l’associazione di promozione sociale Sos Rosarno”, ricorda il presidente Nino Quaranta: “Abbiamo pensato di unire i deboli con i deboli cioè i raccoglitori di arance con i piccoli produttori che non avevano la possibilità di vendere la frutta a un prezzo giusto“.

Così hanno chiamato alcuni migranti a far parte dell’associazione e attraverso la cooperativa “I frutti del sole” sono riusciti a fare loro un contratto regolare. “Una goccia nel mare dello sfruttamento”, ammette Quaranta che però ci tiene a precisare come la sua organizzazione abbia dimostrato “che lavorare nel distretto delle arance rispettando legge e diritti delle persone è possibile”. 

Per la distribuzione Sos Rosarno si affida ai Gas, i gruppi di acquisto solidale: “Li abbiamo cercati e loro hanno risposto in maniera lusinghiera perché apprezzano il progetto. Così le nostre arance finiscono sulle tavole dei clienti del Gas e nelle botteghe equo-solidali. L’associazione ha una forte connotazione politica e per politica. “Noi commercializziamo soltanto prodotti biologici – spiega il responsabile della coop – E collaboriamo con tutte le realtà che lottano per la difesa del territorio”.

Schermata 01-2457416 alle 13.32.54La fortuna dell’azienda è stata la scelta del cosiddetto prezzo trasparente: “Per un chilo di arance servono 15 centesimi per la raccolta, altrettanti per il trasporto, 30 per la lavorazione e 40 per il produttore”.

Poi c’è anche la solidarietà. Dall’aiuto alla città martire del Kurdistan siriano Kobane al sostegno della lotta dei No Tav in Val di Susa.

Anche per “Sos Rosarno” il rapporto tra il territorio e le multinazionali è centrale se si vuole realmente comprendere cosa succede nella Piana di Gioia Tauro. “Il problema parte dall’alto, dall’imposizione del prezzo da parte dei grandi potentati economici. Il piccolo produttore, non potendosi permettere di pagare chi raccoglie gli agrumi, è costretto a sfruttare i migranti africani. La grande distribuzione organizzata impone un prezzo che non equo perché vediamo che sui banchi dei supermercati hanno un certo costo. Anni fa avevamo chiesto alla Coop di dire il prezzo sorgente degli agrumi, ma non ha mai risposto”.

Articolo Precedente

Omicidi e violenze in famiglia: è una questione culturale, altro che gender

next
Articolo Successivo

Roma, l’affittopoli del Comune dura da dieci anni

next