I fantasmi di Rosarno non sono clandestini. Il 92 per cento degli oltre duemila neri presenti ha le carte in regola fra permesso di soggiorno o status di profugo. Eppure fanno una vita in cui ogni diritto è negato. “Se non accetti questo stato di cose non mangi”, spiega Ibrahim, senegalese di 40 anni, mentre spera di salire su un furgone diretto in qualche contrada: “Se stamattina mi arruolano lavoro, altrimenti domani è un altro giorno”.

Lavorare per 25 euro, di cui tre vanno a chi li raccatta per strada, è diventato un privilegio perché la crisi del distretto e l’intensificarsi dei controlli hanno dato il colpo di grazia all’economia del settore. Il ragazzo di fianco a Ibrahim racconta che da due settimane nessuno lo raccoglie: “Negli ultimi due mesi ho lavorato sei giorni in tutto”. 

Ogni furgone che arriva allo spiazzo è preso d’assalto dalla folla infreddolita degli africani. “Mi servono dieci uomini. Poi fra mezz’ora torno”, si sente pronunciare dall’interno del van, ma i neri non si fidano: “Dice così tutte le mattine. Tanto vale tornare alla tendopoli perché neanche oggi si lavora”.

Schermata 01-2457416 alle 13.14.16I caporali, che guidano vecchi furgoni scassati tutti con la targa della Bulgaria, sono africani come gli sfruttati, ma i pochi scrupoli hanno consentito loro di guadagnarsi il ruolo di kapo nel lager a cielo aperto che è l’agro della Piana in provincia di Reggio Calabria.

Molti braccianti hanno anche un contratto di lavoro. Sì, perché la crescita delle operazioni contro il lavoro nero, antefatto del giro di vite annunciato dal governo, hanno indotto i proprietari terrieri a più miti consigli. Tutto a posto allora? “No, perché molti contratti sono farlocchi e soprattutto gli agricoltori senza scrupoli non segnano i giorni – spiega Celeste Logiacco, segretario generale Flai-Cgil nella piana di Gioia Tauro – Quando andiamo a fare i controlli sulla posizione assicurativa dei braccianti, spesso scopriamo che le giornate effettivamente lavorate semplicemente non risultano”.

E’ la nuova frontiera del lavoro nero. La stessa che ha messo nero su bianco la relazione della commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. “Abbiamo fotografato l’esistenza di due forme di caporalato – spiega la presidente Camilla Fabbri, senatrice del Pd – Al fianco della figura del mediatore di lavoro che opera in un contesto di assoluta illegalità c’è un altro settore, non meno allarmante, che si insinua tra le pieghe del contratto di somministrazione”.

L’inchiesta della commissione presieduta dalla parlamentare del Partito democratico è stata attivata in seguito al decesso, questa estate, di Paola Clemente: bracciante agricola italiana morta di fatica mentre raccoglieva l’uva in provincia di Andria.

Schermata 01-2457416 alle 13.11.43La vicenda, portata alla luce dall’ostinazione da Giuseppe Deleonardis, segretario generale Flai Cgil della Puglia, ha squarciato il velo sul gioco perverso di agricoltori, caporali e società di lavoro interinale fatto di buste paga gonfiate ad arte, giornate non segnate, evasione sistematica degli oneri contributivi.

Anche a Rosarno al fianco del caporalato vecchio stile è nata una nuova forma di sfruttamento che ha indossato i panni della somministrazione di lavoro per darsi una parvenza di legalità. Lo hanno capito bene gli investigatori che, nelle loro operazioni contro il lavoro nero, raggranellano un magro bottino: l’ultimo blitz alla tendopoli di San Ferdinando l’8 gennaio ha permesso di identificare 80 vittime, tutte con regolare permesso di soggiorno, e di arrestare due “capi neri” del Burkina Faso.

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