La Commissione Ue smentisce Matteo Renzi, che venerdì a Berlino aveva sostenuto di essere in attesa di risposte su come verranno contabilizzati i contributi nazionali al fondo da 3 miliardi per la Turchia. “Stiamo aspettando che le istituzioni europee ci diano risposte sul modo di intendere e concepire questo contributo e gli altri”, aveva detto il premier. Quei soldi “non vengono tenuti in conto nel calcolo del deficit ai fini del Patto di stabilità e crescita” e questo è già stato chiarito “a dicembre“, ribatte il portavoce dell’esecutivo europeo. Il premier, sconfessato, va allo scontro cambiando le carte in tavola: se “le spese per salvare i bambini che navigano dalla Turchia alla Grecia sono fuori dal patto di stabilità”, dice, “è positivo”, ma allora lo stesso trattamento va concesso alle “spese per salvare i bambini eritrei che arrivano in Sicilia”, perché “solo una perversione burocratica può fare distinzioni tra le vite da salvare”. Renzi dimentica però che il 24 novembre, visto che la Ue era orientata a non concedere la flessibilità richiesta da Roma per l’emergenza migranti (anche perché sarebbe stata in parte usata per finanziare la riduzione dell’Ires sulle imprese), aveva fatto dietrofront. E l’aveva sostituita in corsa con il “pacchetto sicurezza e cultura“: “Un miliardo in sicurezza, uno nell’identità culturale“, aveva spiegato. Per poi decidere di finanziare quelle uscite, compresi i 500 euro per i neodiciottenni, aumentando il disavanzo dello 0,2% del Pil senza aspettare il via libera della Ue.

Renzi aveva chiesto risposte entro il 4 febbraio, non senza una frecciata a Bruxelles – La giornata è iniziata con una dichiarazione del portavoce dell’esecutivo europeo, Margaritis Schinas, che ha svelato come l’unico punto su cui Renzi aveva battuto i pugni sul tavolo venerdì, durante l’incontro a Berlino con la cancelliera tedesca Angela Merkel, riguardasse un problema inesistente. Perché l’esclusione dei fondi destinati alla Turchia per la gestione dei flussi migratori dal computo del deficit è nero su bianco in “una nota a piè pagina della Commissione inserita negli accordi” tra i 28 quando è stato raggiunto l’accordo al vertice di dicembre. Falso, dunque, che Palazzo Chigi stia ancora attendendo chiarimenti come invece aveva sostenuto il premier italiano, che si era pure concesso una frecciata sul fatto che “alla

Commissione hanno sempre tempo di fare conferenze stampa con i giornalisti, per cui avranno senza dubbio tempo di affrontare questo problema”. Ora l’istituzione presieduta da Jean Claude Juncker risponde che il problema l’ha già affrontato e risolto, più di un mese fa. Un nuovo schiaffo, dunque, dopo quelli di metà gennaio. E dopo l’altolà lanciato domenica al governatore di Bankitalia Ignazio Visco che chiedeva di rivedere la normativa sul bail in.

Il gioco delle tre carte: il premier rispolvera la flessibilità per i migranti dimenticando il pacchetto cultura-sicurezza – Quanto alla flessibilità chiesta da Roma per le spese in sicurezza e cultura connesse all’emergenza terrorismo, pari allo 0,2% del Pil, la Commissione deciderà se accordarla “in primavera” e la valutazione si farà “caso per caso ed ex post sulla base di spese fatte”, ha detto Schinas. Ed è stato proprio questo annuncio a suggerire al premier come rigirare la frittata. “Noi non rinnegheremo mai un patto di umanità. Se poi vogliono aprire una procedura contro l’Italia, facciano pure: noi andiamo avanti”, ha risposto parlando durante la sua visita in Africa. “Per noi Europa significa valori e ideali, non polemiche da professionisti dello zero virgola. Non è possibile considerare le vite da salvare nel Mar Egeo diverse da quelle da salvare nel Mar Tirreno. Il fatto che le spese per salvare i bambini che navigano dalla Turchia alla Grecia siano fuori dal patto di stabilità è finalmente un fatto positivo”, ma “pensare di considerare in modo diverso le spese per salvare i bambini eritrei che arrivano in Sicilia mi sembra assurdo e illogico. Solo una perversione burocratica può fare distinzioni tra le vite da salvare”. Insomma: il premier coglie la palla al balzo per rispolverare la richiesta di poter aumentare il deficit con la giustificazione che l’Italia ha sostenuto spese impreviste per l’emergenza immigrazione. Peccato che dopo gli attentati di Parigi avesse cambiato idea decidendo che i soldi li avrebbe chiesti invece per la polizia, le periferie, la cybersecurity e la card per le attività culturali dei diciottenni.

“Non prendiamo ordini, guidiamo l’Europa” – Renzi non ha rinunciato alle solite prese di posizione polemiche nemmeno nella sua ultima enews: “Il nostro mestiere è guidare l’Europa, non andare in qualche palazzo di Bruxelles a prendere ordini“, si legge. “Le cose sono cambiate. Le riforme sono leggi e dopo tre anni di recessione è tornato il segno più nei fondamentali economici. Possiamo tornare a fare il nostro mestiere, dunque. L’Italia per anni aveva un debito morale con le istituzioni europee, e io dico soprattutto con i propri concittadini, perché parlava di riforme che non riusciva a realizzare”.

Financial Times: “Sostenibilità di lungo termine dell’Italia incerta” – Peccato che non la pensi così il Financial Times , che proprio lunedì attacca l’Italia paragonandola alla Grecia. Roma ed Atene rischiano di essere “le due più grandi falle” dell’Ue, strette nella morsa della crisi dei migranti e di un’economia che arranca, è l’analisi dell’editorialista Wolfgang Munchau. “La Grecia è l’esempio più estremo, ma non l’unico” e “neanche il più importante” di “paese esposto a crisi sovrapposte”, scrive Munchau. L’altro esempio è l’Italia. “Sebbene i problemi di Roma siano diversi da quelli della Grecia la sostenibilità di lungo termine del paese è incerta, a meno che non si creda che la sua performance economica migliori miracolosamente quando non vi è ragione alcuna ragione per pensarlo”, chiosa l’editorialista tedesco. In Italia, il problema dei rifugiati in arrivo dal Nord Africa si affianca ad ataviche “questioni irrisolte”: assenza di aumenti di produttività da 15 anni, alto debito che non lascia al governo spazi di manovra fiscali e un sistema bancario con 300 miliardi di sofferenze. Il tutto mentre ben tre partiti, che comunque “non andranno al potere nel vicino futuro”, si interrogano sulla membership alla zona euro, limitando il margine di manovra del governo risolvere tutti questi problemi. Come dimostrano le difficoltà nel varare un piano per ridurre i crediti deteriorati: quello oggetto dell’accordo tra il ministro Pier Carlo Padoan e la commissaria Ue Margrethe Vestager presenta “tutti gli sporchi trucchi della finanza moderna compreso il famigerato credit default swap“. Uno schema che più che essere un “simbolo di ingegneria finanziaria deviata è segno di disperazione“. Ma d’altra parte, a causa delle nuove norme Ue sugli aiuti di Stato “l’Italia poteva fare ben poco”.

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