Siracusa, civico 29 di corso Matteotti. Nello storico “Palazzo Greco” –  uno dei più antichi e prestigiosi del centro – da 112 anni ha sede l’Inda, altrimenti nota oggi come Fondazione “Istituto Nazionale del Dramma antico”. Il cui dramma però è attualissimo, soprattutto per i contribuenti italiani. Da qui dovrebbe partire un immaginifico tour tra gli enti che sopravvivono contro le forze oscure del buon senso e dell’economicità della spesa pubblica.

All’inizio, come sempre, erano buone intenzioni. L’ente nasce nel 1913 su impulso del conte Mario Tommaso Gargallo con l’idea – recita il sito istituzionale – di “ridare vita al dramma antico e fare di Siracusa il centro di una festa senza tempo”. La missione viene declinata nel tempo con una funzione di “coordinamento della promozione delle rappresentazioni e dello studio dei testi teatrali della classicità, la produzione e la rappresentazione di drammi latini, la pubblicazione di testi classici, la cura di archivio e biblioteca, convegni, studi e ricerche”. Tra le attività certo meritevoli, le iniziative presso le scuole per realizzare spettacoli e rassegne, tra cui il Festival internazionale del teatro classico dei giovani. Il punto, dunque, non è il cosa dell’Inda, ma il come.

Se si guardasse a come è stato gestito nel tempo il motore di queste attività si scopre che la “festa senza tempo” a Siracusa è finita da un pezzo. Nel 1998 l’Inda viene trasformato da ente in fondazione privata vigilata dal Ministero dei Beni Culturali e Mef. Non cambiano le fonti di finanziamento: lo Stato, tramite il Mibac e Regione, pompa ancora oggi nelle sue casse circa due milioni di euro l’anno mentre l’apporto dei privati è quasi inesistente. Nel 2014, per dire, si è fermato a 150mila euro. Il comune non ci mette un euro da anni, “pur esprimendo il presidente della fondazione stessa”, rileva la Corte dei Conti nella sua ultima relazione, consegnata a dicembre. Gli introiti da incasso, nell’ultimo bilancio sono stati pari a 3,3 milioni e non coprono le spese di esercizio pari a 5 milioni di euro, aumentate di 847mila rispetto all’anno precedente.

Vabbé, si dirà: una benemerita attività per sostentarsi può sempre contare sul 5 per mille! E invece no. Dal 2007 l’ente è inserito nell’elenco dei beneficiari ma gli amministratori si sono scordati di comunicare il codice di conto corrente all’Agenzia delle Entrate. Cose che capitano. Se ne ricordano solo nel 2015, cioè a otto anni di distanza. Questo spiega anche perché la Fondazione si trascini il suo buco da 1,5 milioni di euro e altrettanti debiti, alcuni vecchi di sette-otto anni. Il 29 dicembre 2014 il ministero nomina un sovrintendente. La missione è evitare di portare i libri in tribunale. Anche se deve tenere insieme i conti con lo scotch gli riconosce un compenso di 100mila euro l’anno. Opta però per un funzionario pensionato, scelta che va subito a sbattere contro il divieto introdotto due anni prima di nominare personale in quiescenza. A sollevare la questione è lo stesso consiglio di amministrazione, ma lo stipendio arriverà regolarmente, anche in assenza del parare del Mibac.

Per fortuna i consiglieri della Fondazione si riducono lo stipendio del 35%, accontentandosi di 28mila euro. Ma poi si scopre che i risparmi “non saranno mai versati al bilancio dello Stato a causa della liquidità dell’ente”. Oltre ai vertici, va detto, ci sono otto dipendenti con diversi incarichi, nessuno dei quali contempla i servizi più comuni di un’amministrazione che sono affidati a soggetti esterni, a pagamento. Così, per emettere gli stipendi (in media 50mila euro lordi ciascuno) si spendono 14.800 euro l’anno in buste paga e altri 4.800 in gestione dei costi del personale. Insomma, quasi un altro stipendio.

L’ente inizia anche ad avere sulle spalle anche una robusta storia giudiziaria. Ha collezionato ben otto cause e tre indagini penali. La più incredibile, forse, è relativa a uno spettacolo teatrale che l’ente patrocinò senza attivare una copertura assicurativa per i danni agli spettatori. Era il 2005 e sfortuna volle che uno di loro rimanesse ferito, ottenendo poi un ingente risarcimento. Il fatto sarà segnalato solo nove anni dopo dal commissario straordinario, mentre i magistrati della Procura sono alle prese con altre grane. Una riguarda appalti affidati ai parenti dei dipendenti. “In passato – si legge nella relazione dei giudici contabili – venivano spesi 500mila euro per pubblicità, cifra del tutto irragionevole per la promozione degli spettacoli”. Dulcis in fundo, un’indagine relativa alle falsificazioni materiali sui diritti della Siae, Società italiana degli autori ed editori che è vigilata dal Ministero dei Beni Culturali, proprio come l’ente dove si consumava la presunta frode ai suoi danni. Come detto, un capolavoro.

Riceviamo e pubblichiamo la precisazione a firma del Presidente della Fondazione (leggi).

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