Secondo lo studioso di pinguini, la giunta militare mortereyana non sarebbe rimasta al potere per più di ventiquattro ore senza l’aiuto politico ed economico degli Stati Uniti. Surunen non nascose le sue perplessità: forse in Unione Sovietica e negli altri paesi comunisti non si perseguitavano i dissidenti? (…) “Voi richiudete gli oppositori del regime negli ospedali psichiatrici”, gli fece notare. Sì, ma succedeva raramente, obiettò Lebkov. E poi, chiunque fosse tanto stupido da mettersi contro un sistema praticamente perfetto, era di certo un pazzo e aveva quindi bisogno di cure psichiatriche. (…) “Certo, i problemi ci sono, non lo nego. Ma qui fai meglio a startene tranquillo, così non finisci nei guai. Mettersi a criticare è da pazzi, e noi abbiamo strutture apposite per i pazzi.”

Irriverente, rocambolesco, grottesco e divertente. Il liberatore dei popoli oppressi, di Arto Paasilinna (tradotto da Francesco Felici e pubblicato da Iperborea), ultimo lavoro uscito in Italia, anche se in realtà il romanzo è del 1986, si può collocare, a mio giudizio, tra le opere migliori del bravissimo autore finlandese. Viljo Surunen, glottologo con la passione dei diritti umani, si mette in testa che la sola teoria non può portare a nulla e si imbarca in un’avventura folle: partire per il Morterey, fantomatica repubblica delle banane del centro America, capeggiata da una giunta militare, per liberare Ramon Lopez, un professore detenuto da anni ingiustamente in una sordida prigione. Surunen durante la sua spedizione viene affiancato da personaggi incredibili e indimenticabili, dal pinguinista russo “fedele alla linea” al tassista moscovita alcolizzato, dal giornalista americano, anche lui con seri problemi etilici, ai fratelli indigeni che lo aiutano a orientarsi nella selva.

Finita l’avventura con i colonnelli fascisti, il glottologo temerario si ritrova poi in Delatoslavia, Paese al di là della Cortina di Ferro, dove si impegna ad aiutare dei dissidenti al regime considerati pazzi dalle autorità (nella descrizione che ne fa Paasilinna il lettore si convince che pazzi lo sono sul serio) per poi tornarsene in Finlandia tra le braccia di Anneli Immonen, la maestra di musica di cui è innamorato.

L’anarchismo umanitario è l’ingrediente che riesce a mantecare una storia a tratti adrenalinica, a tratti lisergica, come potrebbe essere una serata indimenticabile in un bar notturno circondati da brutti ceffi con il cuore d’oro. Imperialismo americano e totalitarismo sovietico vengono sbeffeggiati, umiliati, rivoltati senza pietà. Non c’è speranza in nessuno dei due macrosistemi, secondo Paasilinna e per spiegarcelo e alzare il suo grido d’accusa non usa la rabbia, le facili offese gratuite, i luoghi comuni, ma un’ironia geniale e innovativa, rendendo tutto ciò che può sembrare impossibile perfettamente credibile. Il liberatore dei popoli oppressi è un libro intelligente, un libro capace di liberare prima di tutto il lettore e di dargli una visione meno cupa di un mondo che fa di tutto per esserlo.

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