Le loro decisioni ricadono sulla pelle di milioni di italiani. Hanno anche importanti riflessi sulle casse pubbliche. Ma l’Inps, come nulla fosse, le affida alle figure più precarie della sanità. Poco se ne parla, ma da tempo le attività di accertamento legate all’invalidità civile e dello stato di salute dei lavoratori sono svolte da un piccolo esercito di medici a partita iva. Sono circa 900 e vengono rinnovati di anno in anno, se non con proroghe di qualche mese. Non hanno ferie, malattia, mensa o buoni pasto. E tuttavia hanno orari definiti e postazioni di lavoro fisse, come fossero dipendenti a tutti gli effetti. Sono tutti specialisti e vincitori di una selezione pubblica, ma il loro compenso è di 25,84 euro l’ora per 25 ore a settimana, cui vanno tolti il 20% di ritenuta e il 12% di cassa mutua, restano circa 17 euro nette. Tra loro c’è anche chi prende meno della metà: sono i medici che nelle commissioni rappresentano le associazioni degli invalidi. L’Inps li paga 50 euro lordi per partecipare ad un’intera seduta di commissione che dura cinque ore, dalle 8,30 alle 13,30. Dieci euro lordi l’ora che diventano sette al netto delle detrazioni, meno di quanto prende una colf. Un modo efficace per disincentivare la presenza di medici a tutela dei malati, in un periodo dove non si rinuncia a tagliare nemmeno il sostegno agli invalidi.

In queste condizioni il piccolo esercito svolge compiti delicatissimi: accertano, negano o controllano i requisiti di 4,5 milioni di italiani che tra pensioni e assegni d’invalidità assorbono 30 milioni di euro l’anno di risorse pubbliche. Sono ancora loro ad occuparsi del controllo ambulatoriale dei lavoratori dipendenti assenti dal domicilio durante la malattia: se l’assenza risulta ingiustificata, devono comunicarlo all’ente che comminerà sanzioni. Attività istituzionali legate a servizi che devono essere sempre garantiti ma che l’ente rimette a lavoratori precari che oggi possono esserci e domani no, senza alcuna garanzia. Ci sono sedi INPS dove i medici strutturati sono solo due e quelli a partita IVA sono una decina: senza di loro, quindi, non si potrebbe nemmeno fare una commissione per le visite di invalidità  per la quale sono necessari almeno 3 medici. Esempi? Nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Imola si contano solo due medici assunti contro un numero più che doppio di esterni convenzionati. Casi limite: a Bologna i precari sono il doppio degli assunti (12-6), a Modena addirittura il quadruplo (11-3). A Forlì un solo medico assunto, sei a partita Iva. “In effetti non riusciamo a rispettare il termine di legge di conclusione dell’iter delle domande entro 120 giorni dalla loro presentazione”, spiega il direttore regionale Inps Giuliano Quattrone, precisando però che è soprattutto colpa delle commissioni Asl che hanno tempi di convocazione a visita troppo lunghi. I numeri però sono quelli, nella regione citata a modello per i servizi alla persona. Figurarsi nelle altre.

L’ulteriore conseguenza è nella autonomia della professione. “Siamo totalmente ricattabili, non sappiamo cosa succederà quando scade il contratto”, racconta un medico precario sotto vincolo di anonimato. “Se lavoreremo ancora e in quale sede. Per questo molti di noi sono totalmente sensibili alle pressioni dei vertici dell’istituto”. E che cosa significa? “Che se dei primari ci fanno capire, il tutto ovviamente per via informale e senza nulla di scritto, che è bene “ridurre” la spesa, essere più severi, e quindi tagliare, non sono pochi i colleghi che si adeguano. Se ci dicono di guardare con attenzione solo le posizioni dei cittadini ai quali l’ASL ha concesso benefici economici e di passare rapidi sulle altre non tutti rifiutano tale prassi. In pratica la tendenza è quella di riconvocare a visita soprattutto coloro ai quali è stato riconosciuto un beneficio economico per verificare se tale sostegno è proprio dovuto o non sia invece possibile tagliarlo. Mentre raramente accade che sia richiamato a visita dall’INPS un cittadino al quale l’ASL ha negato l’assegno d’invalidità o la pensione di inabilità: il medico INPS posto sotto pressione è spinto a rinunciare alla sua etica professionale e a confermare la decisione dell’ASL anche quando questa appare in contrasto con le evidenze scientifiche e lesiva dei diritti della persona invalida”. Casi limite, si spera. “Non troppo: visto il trattamento per molti questo lavoro è un ripiego e può anche capitare che venga svolto con poca attenzione e approssimazione”.

Di sicuro a pagare un prezzo alla precarietà dei medici è sempre il cittadino, l’utenza comune, anche in termini di semplice disservizio. La politica dei medici sotto rinnovo fa sì che – tra un contratto e l’altro – tutta l’invalidità civile si blocchi. Non è uno scherzo. L’ultima volta è successo a gennaio. Da tre anni l’Inps sapeva che i contratti, frutto di diversi avvisi e proroghe, sarebbero scaduti il 31 dicembre. Solo il 16 novembre compare sul sito dell’ente l’avviso per un concorso che si è svolto ma la graduatoria ancora non c’è. Così il 30 dicembre, giusto un giorno prima della scadenza dei contratti, arriva la proroga al 30 aprile. Tutto questo i medici lo scoprono giorno per giorno perché nessuna mail dall’Inps li avverte, solo in qualche regione le sedi regionali INPS mandano (in qualche caso il 31 dicembre) una breve mail per dire che c’è la proroga. La comunicazione ufficiale in altri casi arriva anche dopo. Risultato: per le prime settimane di gennaio non sono state fissate visite perché nessuna sede INPS sapeva quale sarebbe stata la propria situazione. E ancora oggi chi ha partecipato alla nuova selezione ancora non sa se sarà prorogato (con il vecchio contratto) oppure no, oppure se rientrerà nel nuovo. In sostanza se domani avrà ancora un lavoro.

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