I Perturbazione sono tornati. Li avevamo lasciati in forma smagliante, loro sei, lì a godersi i frutti di una lunga carriera, coronata dalla partecipazione al Festival di Sanremo 2014, con la loro L’unica, piazzatasi al sesto posto e poi premiata dalle radio. Una canzone, L’unica, che presentava bene il loro pop-rock leggero e profondo al tempo stesso, genere assai diffuso oltreconfine e senza altri rappresentati nel patrio suolo. A quel Sanremo, e non poteva essere altrimenti, era seguito un bailamme di concerti, eventi, partecipazioni a contesti fino a quel momento lontani anche dai loro pensieri.

Quinta serata del 64esimo Festival della canzone italiana - Finale

Esempio raro, il loro, di band arrivata dall’underground (oggi indie) e non bruciatisi sul palco dell’Ariston, come in precedenza era successo solo ai Subsonica. A quel Sanremo, e non poteva essere altrimenti, era seguita una duplice dipartita, via Gigi Giancursi, il chitarrista storico e via Elena Diana, la violoncellista. Non tanto per quel che Sanremo ha comportato, perché la divisione era in atto da tempo, ma perché ci sono momenti in cui le strade si separano e l’unica (citazione) è prenderne atto e proseguire, in qualche modo.

E il modo con cui i Perturbazione, rimasti in quattro, hanno affrontato questa nuova strada (o la vecchia strada in questa nuova formazione) è Le storie che ci raccontiamo, un album che, se possibile, alza ulteriormente l’asticella in alto nel loro pop-rock leggero e profondo, prendendo quanto fatto in Musica X, l’album precedente, e facendolo maturare ulteriormente.

Tommaso, Rossano, Cristiano e Alex hanno deciso che quel che dovevano fare è continuare a fare la loro musica, raccontare storie, non necessariamente autobiografiche, con uno sguardo compassionevole e positivo, la loro scrittura, se possibile, impreziosita dalla dipartita di Gigi, autore di più parte del loro precedente repertorio. Sì, è come se il detto “fare di necessità virtù” fosse stato interpretato alla lettera, con Rossano, il batterista, ad aumentare il proprio apporto compositivo, musicale e letterario, con Cristiano e Alex liberati, in qualche modo, dal vincolo di dover necessariamente usare sempre e solo gli stessi strumenti per ogni brano, un vincolo più che una possibilità.

Ha giovato loro anche la produzione di Tommaso Colliva e ancora più bene la voglia di continuare a essere i Perturbazione anche in un momento delicato, apparentemente tragico. Le dieci tracce dell’album, a partire dall’apripista e singolo Dipende da te, per chiudere con il brano che regala il titolo a tutto, e che in qualche modo racchiude in sé la poetica del tutto, Le storie che ci raccontiamo, sono, come si dice in questi casi, fotografie che immortalano la nostra generazione, senza i toni tragici che solitamente ci vengono appioppati dai media, ma anche senza sconti alla cassa.

Azzeccate le collaborazioni con Ghemon, che fa Ghemon in Everest, Andrea Mirò, che giganteggia in Cara rubrica del cuore, e Emma Tricca, anomala cantautrice italiana di stanza in Inghilterra, voce recitante nella canzone conclusiva. Andrea Mirò, in qualche modo, entra a far parte della famiglia Perturbazione, perché la sua collaborazione con la band piemontese non si limita a questo duetto. Da febbraio, infatti, andrà in tour coi Perturbazione, mettendo le proprie capacità di polistrumentista al servizio del gruppo, e aprendo i concerti con proprie canzoni, prossima anche lei all’uscita di un nuovo lavoro sempre con Mescal.
Bentornati ai Perturbazione, quindi, alla loro capacità di raccontarci le vite, proprie e degli altri, come dentro una canzone degli Smiths o dei Teenage Fanclub. Se vi pare poco…

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