“Tu che t’intendi di queste cose, occupati della Giornata della memoria”. Sono state le parole di una collega che qualche anno fa, in previsione del 27 gennaio, mi affidava il compito di parlare ai ragazzi della più grande tragedia della storia. Qualche anno più tardi raccontai ad un’altra maestra dei fratelli Cervi, di quella casa colonica a Gattatico dove ogni insegnante dovrebbe metter piede per comprendere la storia di questo Paese. La risposta mi lasciò attonito: “Chi sono?”. Senza parlare della collega alla quale ho proposto di parlare della risiera di San Sabba, spiegando Trieste e il Friuli Venezia Giulia: “Cos’è? La ri… cosa?”.

Sicuramente si tratta di rari casi. Voglio pensare che la maggior parte degli oltre 751 mila non solo abbia studiato sui libri di storia quanto è avvenuto tra il 1943 e il 1945 oltre alla persecuzione degli ebrei ad opera degli italiani con le leggi razziali introdotte dal governo fascista ma voglio credere che la maggior parte di questi docenti sia stata ad Auschwitz-Birkenau o almeno a Fossoli.

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Voglio sperare che nessuno ignori cos’è il binario 21 alla Centrale di Milano da dove, attraverso un sottopassaggio segreto, si accedeva ai convogli che trasportarono ad Auschwitz centinaia di uomini e donne.

Voglio credere che molti miei colleghi siano saliti a Monte Sole, passando dal cimitero di Marzabotto per risentire l’eco di quegli spari su donne e bambini inermi davanti alla chiesa. Mi piace pensare che stamattina, e non solo oggi ma in diversi momenti dell’anno scolastico, si parli dello sterminio degli ebrei ma anche di quello degli omosessuali, dei testimoni di Geova, dei disabili e dei Rom (circa 500.000 morti) magari leggendo ai ragazzi Razza di zingaro di Dario Fo.

Non è più tempo di leggere il Diario di Anna Frank senza conoscere quella casa in Prinsengracht 263 ad Amsterdam, senza mostrare ai nostri ragazzi la stanza, il bagno, la libreria girevole che celava il nascondiglio della giovane ragazza.

La “Giornata della memoria” non può essere relegata ad una sola mattinata dedicata ad uno sterile ricordo. Abbiamo un disperato bisogno di “ripassare” la storia, di essere dei veri testimoni. Ogni insegnante dovrebbe essere formato attraverso una serie di corsi, esperienze gratuite e invece oggi, secondo i dati raccolti dal Miur, sono poco più di 200 su 751mila gli insegnanti che nel corso di quest’anno hanno partecipato a momenti di formazione sull’educazione alla Shoah. Troppo pochi.

Abbiamo il dovere di raccogliere il testimone che ci hanno lasciato persone come Elisa Springer o Liliana Segre che continua a incontrare giovani e a scrivere libri che devono far parte della biblioteca delle nostre classi (“Fino a quando la mia stella brillerà”, per esempio).

Durante uno degli ultimi incontro con la signora Segre, ho avuto in dono un fumetto “Liliana e la sua stellina”: una classe della scuola primaria “Odoardo Giansanti” di Pesaro ha raccolto le vicende narrate da Lilian e le ha trasformate in fumetto. Con questo linguaggio che unisce disegno e pittura, hanno trasformato la testimonianza in un racconto per immagini. Ecco quello che deve accadere: far vivere le parole dei testimoni, prenderle in consegna affinché la “Giornata della memoria” non resti un evento per chi se ne intende.

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