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Siamo alle solite. Spuntano le bad banks e Superciuk (quello che rubava ai poveri per dare ai ricchi) torna in azione. Si coprono i debiti, ma non ci si chiede chi li ha provocati. I costi verranno spalmati “equamente” su tutti, senza poter capire per chi saranno i vantaggi e per chi gli oneri. Si dirà che il problema è che “l’Europa lo vuole”, ma nessuno pronuncerà nemmeno sotto tortura il nome dei soliti soci del club del capitalismo di relazione (contro natura) all’italiana. Così, alla fine, nella colonna di chi ci guadagna non ci sarà senz’altro quelli che ne hanno pochi. Perché i ricchi fanno i debiti e i poveri poi li pagano. Così stanno le cose almeno da quanto possiamo apprendere dai dati del Centro studi di Unimpresa: le sofferenze delle banche non derivano dalle famiglie di operai e impiegati che non riescono a pagare il mutuo, ma nascono dai grandi prestiti, visto che il 70% dei finanziamenti “incagliati” si riferisce a crediti superiori a 500mila euro.

Su un totale di sofferenze italiane pari a 201,1 miliardi di euro, ben 141,4 sono relative a prestiti oltre il mezzo milione di euro, erogati ad appena 32.608 soggetti (2,63% dei “problematici”). A voler essere “svizzeri”, potremmo aggiungere che 25,5 miliardi di sofferenze sono a carico di soli 579 soggetti, (0,05% del totale) e che il 97% dei clienti, con prestiti tra 250 euro e 500mila euro, invece pesa sul totale delle sofferenze solo per il 29%, pari a 52 miliardi. Il problema delle banche quindi non sono i poveri. In Italia, un Paese di oltre 60 milioni di abitanti e un’economia basata sulle Pmi, una piccolissima minoranza di grandi ex ricconi, è in grado di mettere in ginocchio l’intero sistema bancario, dettare l’agenda delle riforme e poi presentare la questione in tutt’altra maniera.

Alla luce di tutto questo, potremmo fare una piccola semplice proposta, se non fossimo sicuri di essere derisi o presi per ingenui (quindi teniamocelo tra noi, non facciamolo sapere in giro). L’Italia è il Paese in cui i grandi evasori ottengono sconti (Apple docet), in cui le revocatorie milionarie contro i truffatori alla Fiorani finiscono con accordi al ribasso, ma dove con gli artigiani che non possono pagare il mutuo sul capannone la giustizia è implacabile.

Tuttavia, se considerassimo solo le sofferenze sotto i 250 mila euro, 60 miliardi di crediti incagliati il problema delle bad banks diverrebbe di poco conto, rispetto, ad esempio, al potenziale buco di Deutsche Bank, esposta per 75 trilioni in contratti derivati e anche rispetto alla media delle esposizioni europee. I restanti 141 miliardi problematici a quel punto dovrebbero essere considerati diversamente, non accollando le perdite erga omnes, ma facendo pagare per una volta tanto a chi dovrebbe. Consideriamo che in genere un credito incagliato è all’80% un errore della banca (il mestiere dei banchieri è proprio quello di saper valutare l’affidabilità dei clienti) e al 20% responsabilità del cliente, anche se in genere i colpevoli si accordano prima tra di loro, sulla base di considerazioni di natura extra-economica. Far pagare a chi ha determinato i debiti, sarebbe una novità rivoluzionaria per l’Italia.

Una volta che le sofferenze complessive del sistema bancario italiano e le nascenti bad banks quindi fossero circoscritte a questa più ragionevole cifra – riguardando peraltro il 97,37% dei “problematici” dopo aver in qualche modo invitato il restante 2,36% (i ricchi che detengono appunto debiti incagliati per oltre 141 miliardi) a onorare i debiti che hanno generato, a quel punto il problema delle discariche finanziarie in cui versare in maniera indifferenziata e scordare le perdite bancarie non esisterebbe più. I grandi debitori, cioè quelli che in ogni caso dispongono di patrimoni cospicui più o meno occultati, si dovrebbero arrangiare, onorando personalmente i loro debiti, raramente originati da documentati stati di necessità. Poi qualcuno all’interno delle banche e dei vari comitati che hanno deliberato i finanziamenti incagliati si assumerà le proprie responsabilità. Ma non sarebbe una tragedia.

Alcune grandi aziende certo fallirebbero. Le imprese decotte (quelle che hanno più debiti che patrimonio) forse chiuderebbero bottega, ma il sistema bancario e quello pubblico, risanati dal caso virtuoso no-inciucio, sarebbero in grado di consentirne la ripartenza. La ricchezza forse si ridistribuirebbe e tutti quei grandi capitalisti italiani che hanno finanziato la loro espansione a debito potrebbero essere costretti a cedere case, ville e patrimoni offshore, che finora hanno potuto tenere alla larga dai bilanci delle rispettive società. Sarebbe una salutare lezione di quanto possa essere rischioso il capitalismo collusivo. Una piccola sana operazione di mercato puro, questa volta a vantaggio non dei più ricchi e dei soliti noti, ma a tutela dei più deboli e dei più numerosi.

Insomma, come già sapevamo, le vie del Signore sarebbero infinite anche nel mondo delle banche, tutto sta a scegliere quelle virtuose e non quelle che vanno sempre nella stessa direzione. Questo in un mondo ideale. In realtà a breve avremo le nostre belle bad banks e tornerà Pantalone, i tarallucci, i mandolini e Superciuk che ci dirà che “finalmente qualcuno ha fatto in questo paese le riforme che da vent’anni tutti attendevamo”.

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