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La posizione dell’Europa Unita nei confronti dei rifugiati cambia a seconda dei titoli dei giornali ed è essenzialmente emotiva. Ecco il nocciolo dei problemi attuali riguardo all’emigrazione ed al processo d’integrazione dell’Ue. La scorsa estate, quando le immagini del corpo di un bambino siriano su una spiaggia del Mediterraneo hanno fatto il giro del mondo, gli Stati membri, con la Germania in testa, hanno aperto le frontiere.

Subito dopo, a Bruxelles, i vertici dirigenziali dell’Unione Europea, hanno imposto ai Paesi membri di accettare quote più alte di rifugiati. Una decisione che ha de facto bloccato l’applicazione del trattato di Dublino che stabilisce la residenza dei migranti nel paese d’ingresso nell’Unione. Da allora il flusso dei rifugiati non è scemato, neppure il freddo e la neve di un inverno tardivo hanno fermato un esodo che l’Europa non vedeva dai tempi della seconda guerra mondiale.

A Capodanno gli incidenti di Colonia hanno fatto cambiare opinione agli europei. Un gruppo di donne sono state aggredite da bande di medio-orientali, tra cui, a quanto si legge sui giornali, c’erano anche dei rifugiati. Improvvisamente, anche la politica europea è cambiata, al punto che si parla ormai di rottura di uno dei pilastri dell’Unione, la libera circolazione dei cittadini al suo interno.

Dall’inizio dell’estate, i 28 Stati membri dell’Unione non sono stati in grado di accordarsi su un meccanismo comune per gestire i flussi migratori e le frontiere dell’Unione. Adesso che alcuni paesi del centro Europa hanno chiuso le loro, l’Ungheria ha eretto un muro lungo il confine con la Croazia e la Slovenia, Grecia ed Italia sono le nazioni d’ingresso con il maggior afflusso di rifugiati. Dalla Grecia e dall’Italia, i migranti poi si muovono verso il resto d’Europa, ma alcuni paesi hanno imposto nuovi controlli alle frontiere, tra questi la Germania, l’Austria, la Danimarca, la Francia ed il Belgio. Ed ecco spiegato perché l’accordo di Schengen sulla libera circolazione è in pericolo, de facto è già stato sospeso in gran parte dell’Unione.

Mentre l’Europa non riesce a trovare una politica comune, migliaia di migranti, molti dei quali rifugiati della guerra siriana, ancora arrivano ogni giorno dalla Turchia. A gennaio ogni giorno sono entrate 2.000 persone. Le procedure di smistamento delle domande di asilo sono lente e i centri di accoglienza sono sovraffollati perché queste strutture non sono state concepite per un numero così alto di migranti.

La domanda razionale da porsi è se l’esodo al quale stiamo assistendo è positivo o negativo per l’economia europea. Una risposta l’ha data il Fondo Monetario, che sostiene che l’aumento straordinario del numero dei migranti diretti in Europa avrà effetti benefici all’interno di Eurolandia, in particolare in quelle nazioni dove più alta è l’emigrazione. La Germania, che ha ricevuto più di un milione di rifugiati nel 2015 – la maggior parte dei quali siriani ed afgani -, potrebbe vedere il proprio pil salire dello 0,3 per centro nel 2017 grazie a questa iniezione di forza lavoro. In Svezia e in Austria, gli altri due paesi che hanno assorbito un alto numero di rifugiati, il pil potrebbe crescere dello 0,4 e dello 0,5 per cento rispettivamente nel 2017.

Anche sul pil delle 28 nazioni dell’Unione Europa, secondo il Fmi, le migrazioni attuali avranno un effetto positivo, nel 2017 contribuiranno lo 0,13 per cento al tasso di crescita del pil. Fintanto che i governi europei saranno in grado di garantire ai migranti un processo di assimilazione nell’economia nazionale rapido ed efficiente ed una flessibilità alta all’interno del mercato del lavoro, la presenza dei rifugiati sarà positiva per la crescita economica.

Non è chiaro, però, cosa si intenda per processo di assimilazione e flessibilità del lavoro. Lo studio del Fondo Monetario, non tiene conto dei costi relativi all’assimilazione di questa forza lavoro aggiuntiva, dagli alloggi ai corsi di lingua. Ma soprattutto non analizza le conseguenze sociali di un’emigrazione biblica verso l’Europa. Ed è proprio questo il tema politico più caldo al momento.

La popolarità della Merkel è ai minimi storici non solo in Germania ma anche all’interno del proprio partito, che ultimamente ha appoggiato una proposta di legge per rendere più celere il processo di espulsione di cittadini provenienti dall’Algeria, dal Marocco e dalla Tunisia. Ma dato che i rifugiati non arrivano con documenti di riconoscimento e la loro identificazione avviene sulla base della nazionalità di cui dichiarano di appartenere, una tale legislazione serve a ben poco.

La decisione di concedere 3 miliardi di euro alla Turchia per frenare il flusso dei migranti, chiaramente mira a ridurre le critiche mosse alla politica di apertura delle frontiere della Merkel ed ad assecondare quella fetta dell’elettorato che vuole la chiusura delle frontiere. Che poi, secondo il Fmi, nel 2017 il pil sarà più alto grazie al contributo dei profughi, questo non interessa nessuno. La politica dell’emigrazione è gestita dagli europei emotivamente e non razionalmente e chi li rappresenta, invece di calmare l’elettorato e farlo ragionare, segue i suoi umori.

Oggi gli europei vogliono una soluzione immediata alla crisi dei rifugiati con una politica di contenimento, domani chissà, potrebbero cambiare opinione ancora una volta. Certo questa non è la strategia giusta per risolvere un problema politico ed umanitario di questa portata, né è la politica giusta per evitare ulteriori incrinature nella costruzione dell’Europa Unita.

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