Sembra che qualche suino (Piigs) sia in grado di volare. Durante la crisi che investì l’euro Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna sembravano deboli e, per le loro iniziali, guadagnarono un appellativo suino poco lusinghiero. Tuttavia nel 2015 le economie di tre dei cinque Paesi hanno visto crescere la propria economia in modo vigoroso (vedi grafico). La Grecia è rimasta indietro, arrancando ancora sotto le direttive economiche previste per il salvataggio finanziario.

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Anche l’Italia  ha avuto un rendimento deludente. Nel mese di dicembre, i dirigenti di Confindustria hanno ridotto le aspettative di crescita economica per il 2015 allo 0,8% e per il 2016 nessuno ha previsto una grande ripresa.

L’Unione Europea si aspetta che il Pil dell’Italia cresca dell’1,5%, ma i valori trimestrali dell’anno precedente hanno mostrato che la crescita stava rallentando (dallo 0,3% nei primi due trimestri allo 0,2% nel terzo). “Una ripresa c’è” ha detto il Ministro della Finanza italiana, Pier Carlo Padoan, alle imprese a Dicembre. “Ma è debole”. I collaboratori del primo ministro, Matteo Renzi, temono che l’economia mondiale possa entrare in un nuovo ciclo di recessione, prima che l’Italia abbia recuperato il terreno perso durante la crisi economico-finanziaria.

I ricercatori di Confindustria hanno definito la debole ripresa economica dell’Italia “un vero rompicapo”. Il primo ministro è un tipo energico e riformista. La sua coalizione composta da sinistra e destra ha fatto cose buone. Ha iniziato a riformare il sistema giuridico e la burocrazia; la lentezza del primo e la complessità della seconda rappresentano ostacoli di vecchia data per gli investimenti. E’ stata riformata la legge sul lavoro, controbilanciando la possibilità di licenziare più facilmente con il graduale rafforzamento della sicurezza dell’impiego e di prestazioni sociali previste per i nuovi assunti. Francesco Giavazzi, professore all’Università Bocconi di Milano, che criticò aspramente gli interventi dei precedenti governi nell’ambito del libero mercato, la definisce “la più importante riforma avvenuta negli ultimi 50 anni in Italia”. La disoccupazione si è ridotta in modo incoraggiante a partire dal mese di giugno e si è verificato anche un modesto aumento  dei consumi privati.

A tirar fuori l’Italia dalle recessioni, tuttavia, per tradizione storica è stato l’aumento delle esportazioni. Invece questa volta, malgrado la debolezza dell’euro, la crescita dell’export è stata deludente. Ciò è dovuto in parte al rallentamento dei mercati emergenti e al mediocre rendimento dell’industria tedesca, che assorbe più di un sesto delle esportazioni italiane, ma anche ad una minore competitività. A tal proposito, a partire dalla crisi dell’euro il rendimento italiano è stato insignificante se paragonato a quello dei suddetti Piigs (grafico).

Finora la principale azione politica del governo è stata quella di  inserire  nel bilancio del 2016 agevolazioni fiscali  con l’obiettivo di incoraggiare gli investimenti delle imprese. Il bilancio prevede anche 3.6 miliardi di euro (3.9 miliardi di dollari) di tagli alle tasse sulla prima casa. Questi ultimi hanno probabilmente più lo scopo di ottenere consensi che di incentivare la crescita economica. La generosità di Renzi potrebbe essere di breve durata. Sebbene il deficit finanziario si stia riducendo, è ancora stimato intorno al 2,4% del Pil e ciò ha provocato un monito da parte delle autorità fiscali europee di Bruxelles che si aspettavano una diminuzione più veloce.

Luigi Zingales, un economista italiano della Booth business school di Chicago, ritiene che la lenta crescita economica affligga l’Italia da molto prima della crisi dell’euro. Il suo timore è che l’ultima recessione possa dimostrare quanto poco l’economia abbia saputo fronteggiare le sfide nate con l’ingresso nell’euro e la perdita dell’abilità ad incentivare le esportazioni attraverso la svalutazione della propria moneta. “Quando vado in America per incontrare un gruppo di giovani imprenditori, trovo giovani imprenditori”, dice. “In Italia, incontro innanzitutto figli di papà, che sono lì grazie ai loro genitori, non per il loro talento. Dobbiamo cambiare mentalità”.

Articolo originale apparso su The Economist, il 9 gennaio 2016

Traduzione di Daniela Biserna e Loredana Spadola per ItaliaDallEstero.info

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