In coda per Vivian Maier

Di solito il post scritto in un blog, se suscita interesse, finisce sui social dove continua ad essere discusso. Facciamo per una volta il contrario: scrivo questo post a partire da una foto che ho messo su Facebook. I fatti: domenica mattina, passeggiando in centro a Milano, vedo da lontano una “massa umana”; mi avvicino e si tratta di una lunghissima quanto paziente e disciplinata fila di persone.

Tutti in coda al freddo nell’attesa di poter accedere alla mostra Vivian Maier. Una fotografa ritrovata, allestita allo spazio Forma Meravigli (fino al 31 gennaio).
Di Vivian Maier si è già detto tutto, e tutti conoscono la singolare bambinaia-fotografa anche attraverso il film-documentario che racconta la scoperta casuale, post mortem, di questa talento nascosto. Dunque tralascio di ripercorrere la vicenda, chiunque può scrivere “Vivian Maier” su Google e poi passare un mese a compulsare i risultati.

Siccome invece vogliamo parlare dei diversi e opposti atteggiamenti venuti fuori rispetto a cotanto successo e alle sue interpretazioni, devo anzitutto dichiararmi: le foto di Vivian Maier mi piacciono da matti e, al netto di tutti i ragionamenti, mi arrivano belle dritte e fanno centro nella mia sensibilità, nel mio modo d’intendere la fotografia, nel mio gusto, e forse in una sorta di “candore infantile” che ha altri occhi. Mi arriva una potenza, mi arriva una forza, direi una disperata forza.

Insomma, posto sul mio profilo Facebook la foto della coda, e lo faccio solo per “fare cronaca” e comunicare stupore e curiosità, senza dare giudizi o lanciarmi in interpretazioni. La foto, invece, ha creato un’accesa discussione sulle possibili letture di un successo: tra qualità assoluta, qualità relativa, marketing e seduzione “psicanalitica”.
E allora la faccenda si fa interessante, col mistero di un’esistenza che incrocia le pulsioni, le abitudini, i desideri, i gusti e l’attualità delle nostre esistenze.

Intanto una domanda: esistenze da fotografi? Tutti fotografiamo – lo sappiamo – perché tutti abbiamo una macchina fotografica addosso che ha la forma di un telefonino. Ma questo ci rende fotografanti, non necessariamente fotografi se per fotografo intendiamo chi ha un briciolo di consapevolezza nel farlo.

Dunque la coda è all’interno o all’esterno di un ipotetico “territorio della fotografia”Perché quanto più ci stiamo dentro, tanto più pesa il giudizio sul valore intrinseco dell’opera di Vivian Maier; io, l’ho già detto, lo trovo potentissimo, ma altri commenti lo ridimensionano a livello di un buon fotoamatorismo che nulla propone in più rispetto a tanta produzione che ignota resta.

Qualcuno mette a confronto Vivian Maier a giganti storici della fotografia, come Diane Arbus, rilevando che in quei casi le mostre e l’eco mediatica non hanno exploit paragonabili pur avendo uno spessore maggiore.
Ancora parlando di fotografia, c’è chi sottolinea come, quando molta gente visita una mostra, va colto comunque il segnale positivo di un interesse, e che dunque è autolesionista chi si lamenta sempre: se non va nessuno e nulla si muove non va bene, ma non va bene neanche se si costruiscono le condizioni per un successo.
C’è  poi la nota esterofila, secondo cui siamo i soliti italiani che si inchinano all’autore estero di turno senza valorizzare i nostri numerosi e trascurati talenti.

Autoritratto - New York, 10 settembre 1955 (© Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York)
Autoritratto – New York, 10 settembre 1955 (© Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York)

Slittando poi dal terreno segnatamente fotografico a quello sociologico e mediatico, il trait d’union potrebbe essere il paragone –che qualcuno propone – tra le code per Vivian Maier e quelle per Checco Zalone.Un certo numero di commenti si focalizza sull’operazione di marketing in grande stile, tipicamente americana, con cui la scoperta e la stessa Vivian Maier sarebbero diventate, in sostanza, un prodotto. Si parla anche, naturalmente, della potenza di fuoco in termini di media e di social, fondamentali casse di risonanza per arrivare al largo pubblico dei non addetti ai lavori. 

Non manca, tra il serio e il faceto, un’intrigante pista complottista: è tutto talmente geniale che forse Vivian Maier non è mai esistita, e si tratta di un’operazione studiata a tavolino creando una favola bella e tutto il materiale a corredo di un’ottima sceneggiatura. Anche altri vedono nel “romanzo” costruito attorno a Vivian Maier la chiave di tutto.

Poi, in qualche commento, ci si avvicina al legame tra la figura di Vivian Maier e la nostra psiche, affermando che il successo è legato a un’empatia che ci fa sentire la babysitter con la Rollei una di noi, un essere sofferente e pieno di possibilità inespresse che conduce una vita ordinaria in un mondo stra-ordinarioE’ una diva oggi, era la nostra vicina di casa ieri, da viva. Una di noi se non siamo fotografi, una di noi se lo siamo e amiamo la stradaVivian Maier proiezione di un sogno tutto nostro e, c’illudiamo, a portata di mano.

Le code per strada, come si vede, portano in direzioni diverse e divergenti. Non sta a me tirare conclusioni, mi piace scrutare l’orizzonte, ma davvero credo che solo un bel frullato di tutto questo possa offrirci un bicchiere di verità. In ognuno dei commenti che ho letto c’è uno spunto interessante e un pezzo del “fenomeno Vivian Maier”. E ci metterei pure il senso di appartenenza a una comunità: una comunità di archeologi freschi di una scoperta sensazionale tra caccia al tesoro e serendipità.

Un’avventura dietro casa e al confine del mondo a cui partecipiamo “attivamente”, e che si dipana sotto i nostri occhi in tempo reale. Non da ultimo, Vivian Maier è anche un po’ la nostra cattiva coscienza, e ci richiama all’ordine: era consapevole del suo talento fotografico – io credo – ma lo ha custodito gelosamente e maniacalmente; la parola “condivisione” non era sul suo vocabolario, e il suo isolamento, la sua anomalia di chi produce immagini per accecarle, sono quanto di più lontano dall’attuale compulsività nel mettere sui social qualsiasi grumo di pixel.
Ops! Ma io sono partito a scrivere da una mia foto su Facebook…

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