“L’Unione europea ha stanziato 3 miliardi di euro per aiutare la Turchia a gestire la crisi dei rifugiati ma c’è un Paese in particolare che si rifiuta di sostenere l’accordo” ha dichiarato il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier il 19 gennaio a Berlino, nel corso di una conferenza organizzata dall’Associazione stampa estera (VAP).

Quale sia questo Paese è ormai un segreto di Pulcinella, anche perché l’ha rivelato nero su bianco venerdì scorso il portale di informazione europea Euractiv e l’hanno ripetuto sia il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker sia il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Per non parlare dell’attacco frontale sferrato ieri dal presidente del Ppe Manfred Weber .

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Si tratta naturalmente dell’Italia, il cui governo punta i piedi in cambio di ulteriori margini di flessibilità sul bilancio pubblico. Una mossa disperata, meschina, con la quale Roma mette sullo stesso piano le proprie miserie interne (un rapporto debito/Pil fuori controllo e un’economia stagnante da 15 anni) con la peggiore crisi migratoria dalla seconda guerra mondiale.

La Turchia sta trattenendo almeno due dei cinque milioni di rifugiati in fuga dalla guerra civile in Siria, ha recentemente reintrodotto i visti per i cittadini siriani in arrivo in aereo o via mare  e si preparerebbe ad aprire il proprio mercato del lavoro ai profughi. La Germania ha accolto 1,1 milioni di rifugiati solo nel 2015 ed è in grave difficoltà. Ma che importa? La priorità per il governo italiano è ottenere maggiore flessibilità sul deficit pubblico del 2016, portando a casa un margine dello 0,3% sugli investimenti, lo 0,5% sulle riforme strutturali e lo 0,2% per la gestione dell’emergenza migranti. Un cerotto da una parte e una toppa dall’altra e si tira avanti il baraccone per un altro annetto. Poi si vedrà.

Intanto lo stato d’eccezione continua ed è ormai diventato fisiologico, il rapporto debito/Pil è salito dal 102,3% del 2008 al 132,10% del 2014, mentre il prodotto interno lordo è cresciuto in media dello 0,064% dal 2001 ad oggi. I numeri che presentiamo all’Europa sono questi, è inutile abbaiare per le briciole che cadono dal tavolo, tantomeno da soli. Che poi, come sostiene il commissario europeo agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici, l’Italia “sta già utilizzando la clausola sulla flessibilità dei bilanci più di ogni altro Paese in Europa”.

Lo scontro sulla flessibilità risponde a tattiche di piccolo cabotaggio buone a liberare risorse per “una miriade di microinterventi, che servono più che altro a creare consenso presso alcuni settori elettorali”, come ha recentemente dichiarato l’ex ministro delle finanze Vincenzo Visco. Mentre mancano gli investimenti per far crescere l’economia e creare occupazione. Il governo Renzi naviga senza una strategia di ampio respiro e non riesce a farsi portatore, assieme ad altri Paesi, di una politica economica europea alternativa alla visione tedesca. Dietro la propaganda renziana c’è un’Italia piegata dal debito, che non cresce e si aggrappa a clausole, cavilli e salvacondotti. Un’Italia che non si vergogna di trattare l’emergenza rifugiati come un qualsiasi altro incidente di percorso. Come le migliaia di piccole voragini che si aprono ogni giorno sul suo orticello al di qua delle Alpi.

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