Traffico paralizzato alle porte di Gela per la protesta di un migliaio di lavoratori del petrolchimico dell’Eni. Dalle 4 di martedì 19 gennaio, i sindacati confederali, i lavoratori dell’indotto e i dipendenti hanno sigillato le vie d’accesso alla città con due blocchi sulle strade per Catania e Licata. La mobilitazione è nata su Facebook per opporsi alla chiusura della raffineria e alla sua mancata riconversione in “green refinery“.

Fermi da oltre due anni ed esauriti tutti gli ammortizzatori, i lavoratori delle imprese appaltatrici rischiano il licenziamento perché non sono stati mai aperti i cantieri concordati con il protocollo d’intesa del novembre 2014, che avrebbero dovuto realizzare opere per 2,2 miliardi di euro in Sicilia. Cgil, Cisl e Uil parlano di “Inganno di Stato” e puntano il dito contro l’Eni e il governo, che più volte hanno definito la “vertenza-Gela” ormai risolta.

Renzi venne ad annunciarla in municipio la vigilia del Ferragosto del 2014. Ma a distanza di due anni dall’accordo e quattro dalla fermata degli impianti, tutto è bloccato perché Stato, Regione, Comune, Eni e parti sociali non sono ancora riusciti a siglare l’accordo di programma, indispensabile per definire tempi e modi di intervento nelle bonifiche, negli insediamenti produttivi e nella riconversione biologica della raffinazione.

“E’ iniziata stanotte – dice il segretario provinciale della Cgil, Ignazio Giudice – una mobilitazione lunga e faticosa per impedire che dopo la raffineria chiuda anche la città”. “Ci appelliamo a Renzi – aggiunge Giudice – perché dia risposte a favore di disoccupati, precari, nuovi poveri e commercianti, non con elemosine ma con una legge speciale per Gela che garantisca salute e lavoro”.

Anche il sindaco di Gela, Domenico Messinese, ha espresso la propria solidarietà nei confronti dei lavoratori dell’Eni: “La misura è colma. La vertenza Gela non può attendere ancora risposte dall’alto che non arrivano. Siamo al loro fianco in una battaglia che riconosca il ruolo economico di un territorio che non può essere considerato come un limone buttato dopo essere stato spremuto”.

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